Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)
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di Giuseppe Panella
Elogio della letteratura vissuta. Alberto Manguel, Il libro degli elogi, trad. it. di G. Felici, prefazione di E. Vila-Matas, Milano, Archinto, 2009
Scrive Enrique Vila-Matas nella sua (simpatetica e amicale) prefazione al libro di Alberto Manguel:
«Se già di mio io sono a favore dell’umiltà che qualsiasi prefazione deve contenere, questa la inizio sotto l’influsso di alcuni brani di Una storia della lettura, uno dei libri più noti di Alberto Manguel, dove si spiega che leggere può essere un’attività che non giunge mai alla fine: “Al rabbi Levi Yitzak di Berdishev, uno dei grandi maestri assidici del Settecento, chiesero un giorno perché la prima pagina di ciascun trattato del Talmud babilonese fosse mancante, cosicché il lettore era costretto a iniziare dalla seconda. “Perché” rispose il rabbi, “per quante pagine l’uomo di studi possa leggere, egli non deve mai dimenticare che non è ancora arrivato neppure alla prima vera pagina”» (p. 5).