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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Tra esistenzialismo e antropologia
Moravia e il romanzo italiano del Novecento: il caso della Noia
di Manuele Marinoni (Università degli studi di Firenze)
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Ha scritto Jean Bloch-Michel che l’Alberto Moravia della Noia è uno scrittore che «in una forma perfettamente tradizionale, e ignorando completamente gli sforzi e i tentativi del nouveau roman, con maggior vigore, con superiori qualità estetiche e con un più grande potere di evocazione, ha espresso precisamente tutto ciò che il nouveau roman cerca di dire barricandosi entro regole, divieti e rifiuti»1. Partirei da questa considerazione per circoscrivere il problema del rapporto tra narratore e realtà, tra soggetto e realtà nel romanzo moraviano.
Esoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.
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di Primo De Vecchis
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III. complotto nero petrolio
III.1. ‘Rivoluzioni’ e una geometrica angoscia
Los lanzallamas si apre con una chiara ripresa del finale de Los siete locos, dove Erdosain diceva al suo leader: « – ¿Sabe que usted se parece a Lenin?».[1] Nel nuovo romanzo l’interpellato risponde tra sé a mezza voce: «Sí… pero Lenin sabía adonde iba».[2] Ulteriore prova della confusione politica dell’Astrologo, una sorta di Vanna Marchi della ‘rivoluzione’, parola che spicca sempre nei suoi discorsi. Nel frattempo nella realtà fattuale dell’Argentina del 1930 una ‘rivoluzione’ è accaduta davvero. Invero però si tratta di un colpo di Stato militare di stampo reazionario, a protezione degli interessi dell’oligarchia e di imprese petrolifere straniere (la Standard Oil per esempio), organizzato dal gruppo del 7 settembre, capitanato dal generale Uriburu, organizzazione che si autodefinisce nazionalista e ammiratrice del fascismo italiano. È il primo di una lunga serie di colpi di Stato delle caste militari a favore di un’oligarchia autoctona in combutta con interessi stranieri, come di solito accade negli Stati postcoloniali, che invero continuano ad essere colonizzati economicamente da nazioni straniere attraverso l’imposizione di ‘modelli economici’ a svantaggio della collettività, come il cosiddetto modelo agroesportador nel caso argentino.
Era appena un diciottenne quando nel sanatorio di Cortina d’Ampezzo, dove curava la tubercolosi ossea, Moravia iniziò la stesura del romanzo Gli indifferenti, che fece stampare a sue spese nel 1929.
In esso, lo scrittore delinea- attraverso la storia del dissolvimento e della degradazione di una famiglia- non soltanto l’impietosa radiografia della decadenza morale del ceto borghese, ma anche una lucida raffigurazione della crisi della coscienza intellettuale, prigioniera di un mondo corrotto e brutale, ma immodificabile.
Questa condizione di impotente dissociazione è emblematicamente espressa dal personaggio di Michele, diviso fra la disgustata ripulsa dell’ambiente cui appartiene e l’incapacità di sottrarsi all’ipocrisia, alla volgarità, al cinismo in esso imperanti, sospeso fra una rassegnata, apatica passività e uno sdegno rabbioso ma sterile.
A distanza di ottant’anni circa, vale ancora per la prosa de Gli indifferenti la lode del Borghese: «Qui la parola non spicca per conto suo nella frase; la frase, non molleggia le anche, si sente un respiro sano e continuo, quel pennellare ampio, deciso; qui è vera prosa».
f.s.