
Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)
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di Giuseppe Panella
Alla ricerca dei nuovi luoghi della poesia. Roberto Mosi, Nonluoghi, Firenze, Edizioni del Comune di Firenze, 2009
Una sottile plaquette di versi questa di Mosi ma intensa, capace di suscitare emozioni e riflessioni non banali. E’ ancora nostro il tempo della poesia lirica? C’è ancora la possibilità di individuare delle correspondances tra il mondo del poeta e quello del mondo in cui si trova a vivere? E’ utile scrivere ancora poesia come se il progresso scientifico e tecnologico non fosse intervenuto a cambiare le carte in tavola al gioco dei poeti?
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