Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P.)

di Giuseppe Panella
5. Turismo e spettacolo di morte. Felice Muolo, Il ruolo dei gatti, Roma, Azimut, 2008
Il ruolo dei gatti è un thriller e, prima di parlarne, sarà opportuno spendere qualche parola sul ruolo dei romanzi polizieschi (o, comunque, con un contenuto di carattere hard-boiled – per usare la celebre definizione che viene dalle pulp magazines degli Anni Trenta americani) nella recente narrativa italiana. Il successo avuto da scrittori come Andrea Camilleri o Gianrico Carofiglio o di Giancarlo De Cataldo non deve stupire (a prescindere dall’abile attività di marketing politico-culturale che lo ha determinato). Per dirla con una boutade (che potrebbe suonare beffarda ma forse neppure tanto), il romanzo poliziesco (chiamato qui in questo modo per pura comodità di definizione) ha preso il posto nel cuore dei lettori “forti” del romanzo di impegno (sia pure non sperimentale o marcatamente politico) degli anni Cinquanta o Sessanta. Al posto di romanzi che prendevano posizione, denunciavano, marcavano con decisione la differenza tra intellettuali engagés o disposti allo scontro con il Potere (l’esempio più significativo a questo riguardo è stato Leonardo Sciascia anche se la prospettiva poetica dell’ultimo Pasolini sembrava orientarsi di nuovo verso il romanzo – come l’incompiuta redazione di Petrolio testimonierebbe) vengono oggi prodotti manufatti narrativi che hanno la stessa ambizione ma con un taglio più decisamente di “genere”.
E’ questo ritorno del genere (mai eccessivamente frequentato negli anni precedenti del secondo Novecento e non soltanto per colpa dei divieti del Minculpop fascista) che accomuna tutti i più fortunati successi editoriali di fine secolo scorso.
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