Giovanni Nebuloni, Dio a perdere, Prospettive editrice, 2010, pp.242, € 12,00
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di Francesco Sasso
Leggo dalla quarta di copertina di Dio a perdere che Giovanni Nebuloni vive e lavora a Milano, traduttore da varie lingue ed è al suo quarto romanzo. In vero, la quarta di copertina dice altro che, ad una prima lettura, mi pare eccessivo. Le forme paratestuali, come ci insegna Genette, hanno una loro funzione, giacché prolungano il testo, per presentarlo al mondo e facilitare la sua ricezione. Certo, leggere che il romanzo di Nebuloni:
«insegna lo stile agli americani delle storie d’azione e col quale ogni autore degno di questo nome deve fare i conti. Si vorrebbe che [il romanzo, N.d.R] non finisse mai e si pone indiscutibilmente come pietra miliare nella letteratura italiana. È un faro per le generazioni future e mette necessariamente in discussione anche tutte le opere – quelle vere – precedenti».
Ora, non so chi abbia scritto questa nota in quarta di copertina, ma chiunque sia dovrebbe sapere che il paratesto è una soglia, parafrasando il saggio di Genette, una zona di transazione tra il testo e i suoi lettori. Mai soglia fu così poco invitante per me.