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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Lo Zarathustra crocefisso. I seminari di C. G. Jung su “Lo Zarathustra” di Nietzsche
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di Gustavo Micheletti
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Nel biennio 1934-35 C. G. Jung tenne, nei pressi di Zurigo e dopo qualche sollecitazione da parte di alcuni suoi allievi ed estimatori, un seminario su “Lo Zarathustra di Nietzsche”. Tra tutte le opere di Jung – sia scritte che trascritte in seguito, sia pubblicate in vita che postume – questa ci pare senza dubbio una delle più dense e significative, e non solo perché vi si legge “Lo Zarathustra” da una prospettiva nuova, che offre un contributo critico assolutamente originale e comunque molto diverso da quelli usciti in epoche diverse dall’ambito accademico-universitario, ma soprattutto perché le numerose digressioni su tematiche religiose, filosofiche e psicologiche fanno di questo testo (recentemente tradotto in italiano per Bollati Boringhieri da Alessandro Croce, in un volume curato da James L. Jarrett) uno dei più preziosi per la stessa comprensione del pensiero di Jung.
Oltre alle diverse letture psicologiche e allegoriche delle stesse allegorie nietzschiane, si possono trovare infatti, nel testo tratto da questi seminari, riflessioni a ruota libera che spaziano dal tema della solitudine di Dio fino al tema, presente anche in molti altri scritti junghiani, del rapporto tra Dio e il Demonio, o tra Dio e il male; tra il Sé, tra le sue proiezioni e i suoi simboli, e l’ombra; tra lo Spirito, la mente e il corpo; tra la Fede e la Grazia. I concetti di Enantiodromia, di Anima e di Animus, di coscienza e inconscio vengono approfonditi, e sebbene non risultino sempre più chiari di quanto non lo fossero prima della lettura risultano alla fine meno esposti a schematizzazioni semplicistiche.
Volendo qui fornire solo un breve riassunto e qualche esempio della fecondità e originalità delle divagazioni junghiane su questi ed altri argomenti, ci limiteremo a esaminare alcuni temi che ci sono parsi particolarmente indicativi e illuminanti per comprendere lo spessore psicologico e filosofico di questi seminari: quello del rapporto tra Zarathustra e Cristo, quello dell’ “Enantiodromia” e poi il “Sé”, con le sue relative proiezioni.
di Francesco Sasso
Prima ancora che poeta, Nietzche è filosofo, sebbene abbia usato la poesia in molti suoi saggi come strumento secondario per far intendere il suo pensiero in tutte le sue più sottili implicazioni. Così come nelle due raccolte poetiche, Idilli di Messina e Ditirambi di Dionisio, è possibile osservare le tracce visibili della sua riflessione filosofica. Non è casuale che Idilli di Messina, scritti a Genova durante la prima metà del 1882, derivano dalle prove poetiche dal quale scaturì il prologo poetico alla Gaia Scienza.
Continua a leggere “Friedrich Wilhelm Nietzsche, “Idilli di Messina” e “Ditirambi di Dionisio””
Il primo sguardo da gettare sul mondo è quello della poesia che coglie i particolari per definire il tutto o individua il tutto per comprenderne i particolari; il secondo sguardo è quello della scrittura in prosa (romanzi, saggi, racconti o diari non importa poi troppo purché avvolgano di parole la vita e la spieghino con dolcezza e dolore); il terzo sguardo, allora, sarà quello delle arti – la pittura e la scultura nella loro accezione tradizionale (ma non solo) così come (e soprattutto) il teatro e il cinema come forme espressive di una rappresentazione della realtà che conceda spazio alle sensazioni oltre che alle emozioni. Quindi: libri sull’arte e sulle arti in relazione alla tradizione critica e all’apprendistato che comportano, esperienze e analisi di oggetti artistici che comportano un modo “terzo” di vedere il mondo … (G.P.)
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di Giuseppe Panella
Il rizoma e la parresia del saggio. Stefano Berni – Ubaldo Fadini, Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze, Firenze, Firenze University Press, 2010
«L’attuale è dunque l’”adesso del divenire” e non la prefigurazione di un determinato percorso storico. E’ questa differenza tra il presente e l’attuale a consentire una presa di posizione critica (una presa di distanza) nei confronti di qualsiasi forma di “storicismo”, di razionalizzazione “assoluta” del decorso storico, che ri(con)duce integralmente l’uomo all’orizzonte della storia. Il rinvio all’attuale permette anche di elaborare una risposta alla questione del consumarsi o meno del “destino dell’uomo” nell’immanenza storica che non suggerisce semplicemente la sostituzione di un altro centro di gravità rispetto a quello della storia (ad esempio, la natura, riproponendo così l’abituale contrapposizione tra “filosofia della storia” e “antropologia filosofica”). All’esistenza “storica”, contrassegnata dagli ordini / comandi del presente, è possibile prospettare delle “linee di fuga” rappresentate comunque dai divenire che lo stesso presente veicola. E’ proprio questa attenzione alla dinamica dell’”evento”, che “nel suo divenire sfugge alla storia”, a richiamare, oltre la nietzscheana “eternità dei divenire”, quel “fuori-interno”di Foucault che sta alla base – ne è l’anima – di un processo incessante di differenziazione, che è irriducibilmente “creativo” (di “nuove terre” e di “nuovi popoli”, per dirla ancora con Deleuze e Guattari), che “eccede”, non può non farlo, “il confine stesso della storia” (F. Masini) e le sue logiche di sopraffazione» (Stefano Berni – Ubaldo Fadini, Linee di fuga. Nietzsche, Foucault, Deleuze, Firenze, Firenze University Press, 2010, pp.103-104).