PER UN’ INTERPRETAZIONE LAICA DELL’ULISSE DANTESCO. Saggio di Bernardo Puleio

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di Bernardo Puleio 

 

Presso Malebolge,  nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno dantesco, si presenta una fiamma  biforcuta, che racchiude le anime di Ulisse e Diomede. Come spiega Virgilio(1):

[…] Là dentro si martira/ Ulisse e Diomede, e così insieme/ a la vendetta vanno come a l’ira;/ e dentro da la lor fiamma si geme/ l’agguato del caval che fè la porta/ onde uscì de’ Romani il gentil seme./ Piangevisi entro l’arte per che, morta,/ Deidamìa ancor si duol d’Achille,/ e del Palladio pena vi si porta.

L’incontro con Ulisse (2) « lo maggior corno de la fiamma antica » caratterizza, connotandolo di forti, eroiche e trasgressive suggestioni, il canto XXVI dell’Inferno.

L’eroe omerico espia la colpa dell’« agguato » del cavallo di Troia, che pure reca in sé, nell’ideologia dantesca, un elemento di provvidenzialità divina: la distruzione di Troia apre la porta, attraverso le pellegrinazioni di Enea, alla nascita del « gentil seme » dei Romani, il cui impero è voluto e prescelto da Dio (3).

L’arte di Ulisse appare colpa meritevole di dannazione ed emendazione eterna: forzare i segni della realtà (4) è un’opera di grave mistificazione, una specie di audacia sofistica, in grado di confondere ed occultare la ricerca della verità.

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