QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.89: Il Tempo è il solo nemico. Aldo Roda, “Rompere la forma del tempo”

Il Tempo è il solo nemico. Aldo Roda, Rompere la forma del tempo, Firenze, Gazebo, 2011

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di Giuseppe Panella*

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Aldo Roda, architetto fiorentino trapiantato in Chianti, da tempo persegue con ostinazione e tenacia un proprio progetto di lettura delle dimensioni profonde e segrete della realtà, un percorso che lo ha portato ad esplorare la dimensione alchemica dello studiolo di Francesco I de’ Medici o a leggere gli elementi mercuriali della natura come sostanza solida del Tempo e della Storia. Convinto allievo dell’opera e del pensiero di Joseph Beuys, gli ha dedicato opere in poesia e in installazioni artistiche.

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.38: Sapere salem (et sapientiam). Aldo Roda, “Figure del sale”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

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di Giuseppe Panella

 

Sapere salem (et sapientiam). Aldo Roda, Figure del sale, con un’ Introduzione di Massimo Donà, Firenze, Gazebo, 2008

E’ un nuovo capitolo di un lungo poema in fieri questo pubblicato da ultimo da Aldo Roda.

«”Io, / zolla di sale”, dice di sé il poeta. Quasi… fiore che viene tra rovi; ma, nello stesso tempo, anche “animale chiuso in / cassa di pietra / gettato in mare”. Eppure, il suo volto è simile al fiore; che “nasce aperto calice”. Come il sale che l’acqua scioglie e fa suo; trasfigurandone in qualche modo la durezza. Quella stessa che contraddistinguerebbe anche una cassa di pietra; la quale, gettata in mare, rinascerebbe comunque a nuova vita. D’altro canto, ogni vero poeta “depone il proprio guscio di noce”. Durezza necessaria era infatti quella che, sola, gli avrebbe consentito di risolvere ogni desiderio in fiore. Durezza che ogni grano di sale restituisce nella propria falsa opacità; menzognera, dunque… eppur necessaria. Necessaria, cioè, a potersi fare “riflesso di vetro”; vera e propria trasparenza che tutto in sé riuscirebbe ad accogliere, sotto la maschera che, del “vero”, sa esser sempre nello stesso tempo anche custode. Così il poeta, dunque; che conduce le cose dal non essere all’essere come sapeva bene già Platone. Per un gesto comunque sacrilego. Così, d’altro canto, “parla anche la natura”»

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.14: L’alchimia della parola e la ricerca dal profondo. Aldo Roda, “Alchimie dello studiolo di Francesco I de’ Medici”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

di Giuseppe Panella

 

L’alchimia della parola e la ricerca dal profondo. Aldo Roda, Alchimie dello studiolo di Francesco I  de’ Medici, Firenze, Gazebo, 2007, pp. 96.

E’ dal 1998 che l’architetto Aldo Roda scrive poesie con piglio e determinazione, con la forza di chi vuole costruirsi un linguaggio nuovo per esprimere un universo interiore che lo porta a cercare gli snodi segreti delle vicende umane e il colore segreto delle parole utilizzabili per dirle e per descriverle. Questa sua ultima prova in versi (ma corredata da foto e da una mappa accurata del luogo ove l’azione si svolge) rappresenta un tentativo di cercare le ragioni ultime di un’opera d’arte e di leggerla con l’ausilio di strumenti letterari e psicoanalitici capaci di chiarirne la verità possibile.

Lo studiolo di Francesco I de’ Medici fu realizzato sotto la direzione di Giorgio Vasari e su ispirazione del dotto benedettino Vincenzo Maria Borghini. I 34 pannelli dipinti che lo componevano, il soffitto affrescato e le 8 statuette di bronzo presenti nella sala avevano il compito di illustrare il rapporto tra Arte e Natura (come è dimostrato dalla presenza di un riquadro contenente l’immagine di Prometeo che riceve dalla Natura una pietra preziosa).

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