GLI “AFFARI DI CUORE ” DI PAOLO RUFFILLI. Sogni e materia dell’amore. Saggio di Giuseppe Panella

 Barricate_Cop08_dgt«Per pronunciare davvero il sublime, penso che occorra partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile. Per una legge dell’inversamente proporzionale: quanto più è basso il tono, tanto più alto è l’effetto. Non è che intenda, per carità, rinunciare alla “grandezza” delle cose. Ma trovo giusto rilevarla nella loro “piccolezza”. E mi piace soffiarci dentro quell’arietta frizzante che fa, del castello di Atlante, l’attracco delle astronavi per il resto dell’universo» (Paolo Ruffilli, Appunti per una ipotesi di poetica).

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di Giuseppe Panella

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GLI “AFFARI DI CUORE ” DI PAOLO RUFFILLI. Sogni e materia dell’amore

1. Ruffilli, ieri

Fin dalla sua prima opera (La quercia delle gazze, Forlì, Editrice Forum, 1972), la sostanza trasversale della scelta lirica di Paolo Ruffilli è ben chiara al suo lettore: dal suo viaggio in Grecia, apparentemente legato e frutto di una temperie spirituale di tipo romantico, il poeta ricava la convinzione che il mito non è più sostanza delle cose e di esso non si può fare che uno scavo interno, critica immanente e devastata, definizione archeologica del passato che è inerte nel presente. Ma già dal suo secondo libro (Quattro quarti di luna, sempre Forum di Forlì – l’anno è il 1974), i tempi ritmici e le cadenze toniche della sua poesia mutano. Non bisogna dimenticare, infatti, che il libro di poesia italiana più amata dal poeta trevigiano  resta (e resterà indenne nel tempo) proprio Satura di Eugenio Montale, la raccolta che segnò il ritorno di quest’ultimo alla poesia e uno dei testi più discussi e contrastati del suo percorso poetico. Non a caso è proprio in questo volume montaliano tardo che, a differenza degli episodi precedenti della sua storia lirica, avviene l’abbandono del linguaggio più rarefatto e linguisticamente alto delle opere precedenti a favore di uno stile più orientato verso il parlato e il quotidiano – uno “spartiacque” della poesia del Novecento, come dichiara autorevolmente anche Daniele Maria Pegorari, nella sua Introduzione al bel volume di Giovanni Inzerillo, l’unico finora dedicato a Ruffilli (La virtù della frivolezza. Saggio sull’opera di Paolo Ruffilli,  Bari, Stilo Editrice, 2009) e suo mentore editoriale.

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Il gioco della vita nelle “Carte” di Francesco De Napoli

Francesco De Napoli, Carte da giocoFrancesco De Napoli, Carte da gioco. Trilogia dell’infanzia. Prefaz. di Mario Santoro. Testimonianze di Massimo Grillandi e Giorgio Bàrberi Squarotti. Osanna Edizioni, Venosa, 2011, pp. 72

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di Paolo Ruffilli

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Francesco De Napoli ha opportunamente riunito in un unico libro tre poemetti, usciti in tempi diversi: L’attesa (1987), La casa del porto (1994-2002) e Carte da gioco (2001). Ne risulta un’operetta compatta e coerente, di intonazione poematica, che ha preso il titolo complessivo di Carte da gioco (Osanna Edizioni, 2011, pp. 72), introdotta da un’ampia e circostanziata prefazione di Mario Santoro.

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Ippolito Nievo nella magnifica Palermo. Una questione geografica della storia. Paolo Ruffilli, “L’isola e il sogno”

Ippolito Nievo nella magnifica Palermo. Una questione geografica della storia. Paolo Ruffilli, L’isola e il sogno

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di Giovanni Inzerillo

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Dopo vent’anni dalla prima biografia pubblicata per i tipi della Camunia col sottotitolo Orfeo tra gli Argonauti e in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, Paolo Ruffilli, sempre più affascinato dalla prosa, torna a scrivere su Ippolito Nievo, la cui controversa figura di eroe della storia e di letterato continua ad affascinare e far discutere. Ruffilli, che già nel 1991 aveva quindi tracciato una breve ma ricca biografia dell’eroe garibaldino morto nemmeno trentenne, corredata inoltre da un’appendice critica dei lavori letterari di Nievo, dai più ai meno noti (a parte le celebri Confessioni, si ricordano pure Antiafrodisiaco per l’amor platonico, Angelo di bontà, Il conte pecoraio – solo per citare alcuni romanzi), torna a insistere su un personaggio e su un periodo storico a lui caro come testimoniano, dello stesso autore, le curatele alle Confessioni e a un’antologia di scrittori garibaldini.

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QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.21: Ipotesi per un poeta. Giovanni Inzerillo, “La virtù della frivolezza. Saggio sull’opera di Paolo Ruffilli”

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

  

di Giuseppe Panella

 

Ipotesi per un poeta. Giovanni Inzerillo, La virtù della frivolezza. Saggio sull’opera di Paolo Ruffilli, Introduzione di Daniele Maria Pegorari, Bari, Stilo Editrice, 2009

«Tessendo, neppure con troppa partecipazione del resto, l’elogio necessario della frivolezza, che è stata sempre la virtù dei grandi ingegni. Per pronunciare davvero il sublime, penso che occorra partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile. Per una legge dell’inversamente proporzionale: quanto più è basso il tono, tanto più alto è l’effetto. Non è che intenda, per carità, rinunciare alla “grandezza” delle cose. Ma trovo giusto rilevarla nella loro “piccolezza”. E mi piace soffiarci dentro quell’arietta frizzante che fa, del castello di Atlante, l’attracco delle astronavi per il resto dell’universo» (Paolo Ruffilli, Appunti per una ipotesi di poetica).

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