Vittorio Coletti, “Romanzo mondo: la letteratura nel villaggio globale”

  Vittorio Coletti , Romanzo mondo: la letteratura nel villaggio globale, Il Mulino, Bologna, 2011.

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di Eleonora Ruzza

Sarebbe possibile delocalizzare Montalbano in un altro luogo, e prescindere dalle caratteristiche specifiche del territorio letterario di Vicata, per proiettare il personaggio del commissario in un qualunque altro luogo: una spiaggia californiana o un’isola dell’arcipelago indonesiano? Se usassimo gli occhiali di un romanziere dell’Ottocento, — per il quale in maniera deterministica «ogni spazio si tramuta in un’atmosfera morale e sensibile», «di cui si imbevono […] il carattere, il comportamento, il sentire, l’agire»[1]—, tale operazione altererebbe in modo irreparabile la natura dell’intreccio e del personaggio.

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Alfonso Berardinelli, “Non incoraggiate il romanzo, Sulla narrativa italiana”

Alfonso Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, Sulla narrativa italiana, Venezia, Marsilio, 2011.

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di Eleonora Ruzza

 

Questa raccolta di articoli e brevi saggi, scritti a partire dagli anni novanta, appare come un’indagine sulla «veloce» e spesso «distratta» gestazione del genere romanzo nella narrativa italiana contemporanea. Mentre i tre capitoli centrali raccolgono recensioni sulla produzione di trentadue autori, da Carlo Emilio Gadda a Nicola Lagioia; la cornice rappresentata dal primo e dall’ultimo capitolo si preoccupa invece di raccogliere riflessioni teoriche sulla centralità del personaggio, sull’obbligatorietà della concatenazione, sul rapporto con il racconto, e la relazione tra la fictio romanzesca e la realtà.

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Lukács e Bachtin: tra epica e romanzo. Saggio di Eleonora Ruzza

Lukács e Bachtin: tra epica e romanzo

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di Eleonora Ruzza

Nella Teoria del romanzo, Lukács rilanciava la linea hegeliana in base alla quale la moderna epopea borghese costituiva una forma secondaria e manchevole rispetto all’originarietà dell’epica. Constatando il dissidio tra un mondo interiore che aspira all’organicità e un mondo esterno che non può raggiungere «una perfezione reale» per il suo carattere discreto, Lukács costruisce un modello epico il cui «continuum omogeneo» viene a rappresentare l’oggetto della nostalgia di un’«individualità problematica». Al romanzo corrisponde dunque il tentativo di riappropriarsi della «totalità celata della vita» per mezzo di un «atto figurativo» appartenente non all’ordine finito dell’essere, ma a quello instabile ed eterogeneo del processo(1). Ed è proprio a causa di questa contingenza che «le parti relativamente indipendenti risultano più indipendenti, più internamente compiute, che quelle dell’epopea, e affinché il tutto non deflagri» deve essere raggiunta una «pseudo-organicità», dove ogni elemento abbia «un preciso significato compositivo e architettonico»(2).

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Ju.M. Lotman, la modellizzazione

 di Eleonora Ruzza

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Quale funzione semiotica hanno l’incipit e l’explicit nel romanzo? Una risposta si trova nella «modellizzazione» che la Struttura del testo poetico (1970) di Lotman attribuisce alla lingua artistica, e in particolare alla cornice dell’opera.

Atto comunicativo e mezzo di trasmissione dell’informazione artistica, l’opera d’arte è per Lotman un testo scritto in una «lingua di modellizzazione secondaria», che si costruisce con il «materiale della lingua naturale», ed è nella sua essenza una simulazione del mondo (1). Essa si configura come una «struttura complessa» – in grado di comunicare «un volume di informazioni che sarebbe assolutamente impossibile trasmettere con i mezzi della struttura linguistica normale» – all’interno della quale il piano dell’espressione e quello del significato istituiscono una relazione tale che gli elementi del primo risultano semantizzati, mentre quelli del secondo subiscono un’inevitabile «formalizzazione» (2). Nel paragonare la struttura dell’opera artistica ad un edificio il cui progetto (l’idea dell’autore) coincide con l’organizzazione sistematica delle parti costruttive, Lotman sottolinea la centralità del concetto di delimitazione, da cui dipende il valore metalinguistico delle frontiere testuali: per il loro statuto liminare esse richiamano alla «coscienza» del mittente e del destinatario l’intero repertorio dei segni e delle regole sintattiche che reggono i loro rapporti – e rappresentano quindi una zona di passaggio tra la langue e la parole, tra la dimensione sovraindividuale del sistema e quella individuale del prodotto artistico.

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F.Kermode e il senso della fine

di Eleonora Ruzza

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Se nella Filosofia del «come se» (1) Hans Vaihinger riconduce l’intera attività conoscitiva alle finzioni, quali strumenti di difesa contro le ostili contraddizioni dell’ambiente esterno, con The Sense of an Ending (1967) Kermode inaugura gli studi sui confini romanzeschi, attribuendo al come se del novel la funzione di restituire alla linearità del vivere la coesione della forma chiusa. Immerso nel flusso del tempo e imprigionato nella condizione del mezzo, l’individuo è indotto a costruire «finzioni esplicative» in grado di dare un ordine all’incompiutezza delle continue trasformazioni, e rendere tollerabile la successione.

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E.W. Said e il senso dell’inizio

di Eleonora Ruzza

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Pubblicato nel 1975, Beginnings fonda il «senso dell’inizio» con l’intento di dimostrare come il romanzo e il testo siano forme di principio che riflettono il modo in cui l’individuo si rapporta al mondo reale (1). Riconoscendo nella pratica e nella teoria del cominciare la necessità antropologica di fissare un punto di partenza, Said incentra la sua indagine sul concetto di intenzione, concepita come forza che dà avvio al processo di significazione, e più estesamente all’agire, e che si esplica non solo nella forma dell’iniziativa ma anche in un atto di genetico ottimismo sulla possibilità di un seguito. Ciò non significa tuttavia che nell’intenzione vi sia già la predeterminazione di un fine preciso: essa coincide piuttosto con la presupposizione dell’esistenza di un «contenitore» spazio-temporale riempibile in virtù di un principio di continuità (2).

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