Guerra all’Europa

Guerra all’Europa

(Dal III cap. del libro inedito De Ukrajina. Il “piano” del sofo e dello zar)


di Stefano Lanuzza

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EUROPA CONTROEUROPA

Dopo Napoleone Bonaparte desideroso d’unificare l’Europa comprendendovi anche la Russia, c’è Victor Hugo che, il 21 agosto 1849, alla Conferenza Internazionale sulla Pace tenuta a Parigi, preconizzava una nascita degli “Stati Uniti d’Europa” che doveva favorire l’armonia universale: “Verrà un giorno” enunciava “in cui la guerra sembrerà così assurda fra Parigi e Londra, fra Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino da sembrare impossibile esattamente come, ai giorni nostri, lo sarebbe una guerra fra Rouen e Amiens, fra Boston e Philadelphia. Verrà un giorno in cui la Francia, tu Russia, tu Italia, tu Inghilterra, tu Germania, voi tutte, nazioni del Continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia e tutte le nostre province si sono fuse nella Francia. Verrà un giorno in cui non esisteranno più altri campi di battaglia se non i mercati, che si apriranno al commercio, e le menti, che si apriranno alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le granate saranno sostituite dal diritto di voto, dal suffragio universale dei popoli, dal tribunale arbitrale di un Senato grande e sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, l’Assemblea legislativa per la Francia. […] Verrà un giorno in cui vedremo gli Stati Uniti d’Europa”.

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Alex Bardascino, Luciano Curreri, “Non di sola destra”. Nota introduttiva di Luciano Curreri

[E’ appena uscito per Rubbettino editore, Non di sola destra di Alex Bardascino e Luciano Curreri. Per gentile concessione dell’editore, presentiamo la nota introduttiva di Luciano Curreri (f.s.)]

Alex Bardascino, Luciano Curreri, Non di sola destra, Rubbettino Editore, 2022, pp.114, €12,00


Nota introduttiva di Luciano Curreri

La Repubblica e la Repubblica delle lettere del secondo dopoguerra hanno come minimo comun denominatore lantifascismo. Limpegno civile e letterario di questultima e vincente istanza plurale (che tiene insieme tutti i «n al fascismo, dai liberali ai comunisti, dai prigionieri ai partigiani) ha dato vita a una cultura che ha saputo esprimere momenti e pagine indimenticabili, che anche gli autori di questo librino hanno letto e in parte studiato, a volte insieme e pure di recente, con lidea di mettere a confronto due generazioni diverse di lettori, una risalente al 1966 (Luciano Curreri) e laltra al 1988 (Alex Bardascino)1.

Nella seconda metà del Novecento, non scompaiono tuttavia le narrazioni di destra. E nel nostro libro, se ne sono selezionate sei, di tali narrazioni, ottenendo una (non sporca) mezza dozzina di autori e testi che in circa 35 anni di vita repubblicana, tra il 1953 e il 1986, rivendicano, secondo modalità differenti, una certa adesione al fascismo e quanto meno un certo ritorno inquieto al Ventennio e alla Repubblica Sociale Italiana: ritorno generazionale e plurigenerazionale insieme (ma non senza fratture, fra, per esempio, i giovanissimi e convinti repubblichini di Mazzantini e quanto appare loro, nel secondo dopoguerra, come «“la teppaglia nera»2).

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LEGACCETTI (recensioni come ricordi): Ernesto Ferrero, “Napoleone in venti parole”

Ernesto Ferrero, Napoleone in venti parole, Torino, Einaudi («ET Saggi»), (marzo) 2021, 270 pp., 13,50 euro.

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di Luciano Curreri* (ULIEGE, Belgique)

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Dopo vent’anni pieni dal successo di N. (2000), Ernesto Ferrero risponde presente al duecentesimo anniversario della morte di Napoleone (il famoso cinque maggio del 1821) con un saggio fresco, sempre per Einaudi, Napoleone in venti parole (2021). Certo, il Nostro era già tornato a più riprese a confrontarsi con Bonaparte e dintorni e il bel volumetto di Lezioni napoleoniche sulla natura degli uomini, le tecniche del buon governo e l’arte di gestire le sconfitte, uscito per Mondadori nel 2002 e nel 2014, offre una base soprattutto alla prima parte del saggio recente, per una decina dei venti capitoli di cui si compone, cioè quelli relativi, citiamoli, a L’uomo, Famiglia, Donne, Sistema operativo, Politica, Strategia, Economia, Comunicazione, Arte, Libri. Non che non ci siano richiami altrove, specie in un paio di capitoli finali, Errori e Mito, ma nella seconda e più consistente parte del nuovo libro la Storia segue – in seno a piglio e ritmo ‘narrativo’ – le tappe note dell’avventura napoleonica via modalità mene cursorie e più cronologiche.

Detto questo, il background di N. c’è sempre, a partire dai Comprimari, a dire bene e quanto basta l’interesse di Ferrero per uomini e donne eccezionali, nel bene come nel male, che provano a rendere plurale e variegato un mondo che per un ventennio circa, tra fine Settecento e primi due decenni dell’Ottocento, sembra appartenere solo a Napoleone I, anche quando è recluso, oppure sostanzialmente a nessuno: Italia, Egitto, Incoronazione, Russia, Elba, Waterloo, Sant’Elena.

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LETTI QUASI PER CASO, SCRIBACCHIATI PER UNA QUALCHE NECESSITÀ: a cura di Maddalena Rasera, “Letteratura italiana e Grande Guerra un anno dopo il Centenario” & Vittorio Roda, “Da Carducci alla Grande Guerra. Studi di letteratura italiana”

Rubrica senza cadenza e scadenza ovvero Fustino letterario di Lucio Lontano*.

L’idea di questa rubrica birichina sta nel titolo e sottotitolo della stessa, che non necessitano di ulteriori spiegazioni, a nostro avviso. L’unica cosa che val forse la pena precisare è che si è pensato di far leggere lo scarabocchio – prima ancora che venga pubblicato – all’autore del libro da cui si parte, dando a quest’ultimo la possibilità di aggiungere, in coda, anche solo qualche riga, una parola, un’ipotesi di dialogo.

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Da ‘bastian contrario’ ma ‘fedele alle amicizie’. Appunti e spunti, domande e dubbi, ricorsi e riverberi a partire da: Letteratura italiana e Grande Guerra un anno dopo il Centenario, Atti del Convegno di studi (Verona, 23-24 ottobre 2019), a cura di Maddalena Rasera, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2020 (dicembre), 114 pp., e da Vittorio Roda, Da Carducci alla Grande Guerra. Studi di letteratura italiana, Bologna, Pàtron, 2019 (febbraio), 280 pp.

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di Lucio Lontano*

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Scrivendo un saggio narrativo dei miei dedicato a Storia di Tönle (1978) di Mario Rigoni Stern (1921), ho provato a spiegarmi così il racconto della Grande Guerra nelle pagine di quel libro: «Il racconto, qui, non è la vendetta ma il suo contrario: il perdono. Perché questo non è un libro di guerra ma di pace, di speranza. E se la «baita» non c’è più, perché ne puoi solo più vedere – e da lontano – le rovine fumanti, se «lassù» non resta «più niente da distruggere, e più niente per poter vivere», a casa ci si ritorna lo stesso, perché il mondo è la nostra casa e la nostra casa è il mondo. […] Tönle è un antidoto umano alla guerra disumana; è un uomo che sa scegliere i tempi e gli spazi per andare al pascolo e riposare, per viaggiare e fermarsi, per fuggire e star fermo, quasi come un filosofo antico».

Eppure, mi dico ora, anche questo testo rientra nella grande famiglia della ricezione letteraria della Grande Guerra. E mi viene anche da farmi – e da farvi, cari lettori – una domanda.

Quale è la guerra ‘italiana’ più ‘coperta’ dalla letteratura italiana in tempo più o meno reale, ovvero nei dintorni più o meno immediati della stessa? Forse una guerra che se ne porta dietro altre e che finisce quasi per riprenderle e poi riassumerle e sintetizzarle nel suo seno, ammesso e non concesso che l’espressione appena citata possa confarsi a un contesto patriottico che è davvero poco materno e – metaforicamente e non solo – mutilato assai. La Grande Guerra, in effetti, ha un noto ‘portato risorgimentale’, quello delle tre guerre d’indipendenza almeno, che non a caso giungono a rinominarla da ‘prima guerra mondiale’ a ‘quarta guerra d’indipendenza’. Et pour cause: i sette decenni che anellano via via il 1848 al 1918 fanno un po’ pensare a una nostrana «guerra dei settant’anni», dove il tutto si dilata – copertura e ricezione letteraria compresa, ovviamente – magari mentre si infila nella «guerra civile europea» colta da Enzo Traverso, nel 2007, tra il 1914 e il 1945… E allora chissà quante guerre dei cent’anni abbiamo vissuto, pensando di essere in pace…

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Manolo Morlacchi, “La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata”. Racconto di una rivoluzione

Manolo Morlacchi, La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata, Milano, Mimesis, 2019, pp. 226, € 18,00

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di Stefano Lanuzza
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Come un racconto-verità scritto dopo un viaggio nel Paese più ‘italiano’ del Sudamerica – l’Argentina che, tra la seconda metà dei novecenteschi anni Settanta e la prima metà degli Ottanta, è scenario di rivolte e di un genocidio perpetrato dai militari governativi e da squadre della morte contro quarantamila oppositori, uccisi e fatti sparire –, è La linea del fuoco. L’Argentina da Perón alla lotta armata (Milano, Mimesis, 2019, pp. 226, € 18,00) di Manolo Morlacchi (Milano, 1970), storico politicamente orientato.

Sul ‘filo rosso’ di una “linea del fuoco” che marca il dissenso e la guerra di liberazione nell’Argentina delle dittature, l’autore inizia il suo percorso nel 2017, visitando in Plaza del Congreso a Buenos Aires la sede dell’associazione delle Madres de Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos assassinati dalla polizia dopo il golpe del 24 marzo 1976 e la presa del potere del generale Jorge Rafael Videla che sospende i diritti civili, ferma i sindacati e le organizzazioni degli studenti, dichiara illegali i partiti d’opposizione, perseguita i giornalisti contrari al suo regime.

Appena entrato nella sede delle Madres, l’autore è sorpreso nel vedere le pareti “ricoperte di scritte, fotografie, disegni, quadri e ritratti” dedicati al generale Juan Domingo Perón con la prima moglie Evita, a testimonianza del ricordo ancora vivo di un peronismo divenuto acritico mito e della filantropica Evita assurta a “icona laica, un’eroina venerata quasi fosse una santa”.

Dinanzi a tanto consensuale fideismo, può apparire addirittura vano – spiega Morlacchi – voler obiettare “sulla reale natura storica del peronismo”, ovvero su un Perón che, già vicino ai nazifascismi europei al tempo della Seconda guerra mondiale, nel 1943, con un colpo di Stato, prende il potere in Argentina. Eletto presidente nel 1945, governa fino al 1955 quando viene esautorato da una parte delle Forze Armate capeggiate dal generale Aramburu, il fucilatore, nel 1956, di una quarantina di avversari politici (tempo dopo, allorché il 29 maggio 1970 Aramburu viene rapito e presto giustiziato da guerriglieri Montoneros, si parla di un’esecuzione “corretta”).

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Georg Holmsten, “Contro Hitler”

Georg Holmsten, Contro Hitler. 20 luglio 1944. L’attentato al Führer raccontato da uno dei protagonisti, Mimesis 2020, pp. 96, € 10.00

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di Stefano Lanuzza
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Che nella Germania di Hitler sia completamente mancata una Resistenza antifascista (antifaschistischer Widerstand) possono smentirlo le azioni di taluni soggetti e movimenti clandestini, tra cui, soprattutto, l’organizzazione comunista Kommunistische Partei Deutschlands, comunque non paragonabile alla Resistenza italiana o francese.

Malgrado la politica terroristica del partito hitleriano che abolisce la libertà di stampa e già dal 1933, stesso anno del Concordato del governo germanico con la Chiesa cattolica (20 luglio), dà l’avvio ai lager di Breitenau, Neusustrum, Stettin-Bredow e Börgermoor, cospirano contro il dittatore soggetti isolati, sindacalisti, deputati dei partiti operai con diversi intellettuali, artisti, diffusori della stampa clandestina, ma, via via, anche ufficiali dell’esercito tedesco e alcuni membri dello stesso governo: molti di loro perseguitati, spediti nei lager o assassinati dagli agenti del ‘servizio di sicurezza’ (Sicherheitsdienst). Tutto ciò sotto gli occhi della maggioranza dell’asservito popolo tedesco che, terrorizzato dalla violenza nazista, fino alla sconfitta di Hitler sembra ottusamente condividere le mire del “Reich Millenario” (Tausendjähriges Reich) per la dominazione del mondo… Né si dimentichi che l’iniziale Resistenza tedesca al nazismo non riceve l’aiuto dei governi occidentali. Questi, dopo il “Patto scellerato” per la spartizione della Polonia del 23 agosto 1939 tra Hitler e Stalin (mentori di due fascismi, uno ‘nero’ e l’altro ‘rosso’), vorrebbero sperare, allorché le truppe di Hitler iniziano l’invasione dell’Unione Sovietica con “L’Operazione Barbarossa” iniziata il 22 giugno 1941, che il despota tedesco ponga rimedio al pericolo stalinista… Scrive in un libro del 1940 l’ambasciatore inglese Nevile Henderson: “Il regime nazista e le istituzioni sociali che ha instaurato presentano diversi aspetti che dovremmo studiare e applicare nel nostro Paese” (Failure of a mission. Berlin 1937-1939). E il diplomatico statunitense Sumner Welles: “Per salvaguardare i loro interessi economici, le democrazie occidentali e gli Stati Uniti d’America furono particolarmente lieti di accettare l’hitlerismo come un valido bastione contro l’avanzata comunista” (The time for decision, 1941).

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Storie ed eventi storici n.5: Bartolomé de Las Casas, “La leggenda nera”

Bartolomé de Las Casas, La leggenda nera. Storia proibita degli spagnoli nel Nuovo Mondo, Jouvence, 2018

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a cura di Francesco Sasso

Bartolomé de Las Casas (Siviglia, 11 novembre 1484 – Madrid, 17 luglio 1566)  è stato un vescovo cattolico spagnolo impegnato nella difesa dei nativi americani. Per comprendere quali conseguenze ebbe l’esplorazione e poi la colonizzazione spagnola in alcuni territori del Nuovo Mondo, basta leggere queste poche righe tratte da La leggenda nera.

«Il governo di Hispaniola [Haiti] assegnò, ad ogni spagnolo che lo richiedess, a chi 50 a chi 100 indiani, fra cui vecchi, donne incinte e puerpere. Egli permise, nonostante questo fosse contro la legge, che gli spagnoli trascinassero via gli uomini capi di famiglia nelle miniere d’oro anche 10, 20, 30, 40 e 80 leghe [1 lega = 6 km circa] lontano da casa e che lasciassero nelle case e nelle fattorie le donne a svolgere il lavoro dei campi. Così succedeva che gli uomini e le loro mogli praticamente non si incontravano mai e le nascite cessarono. Essi per l’aratura non avevano zappa o aratro trainato da buoi, ma come i loro antenati dovevano spezzare la terra con bastoni induriti dal fuoco. Così gli uomini morivano nelle miniere d’oro, le donne per la fatica nei campi e i neonati morivano perché non venivano allattati e questa grande isola fiorente ben presto si spopolò.

I governanti spagnoli colpivano gli indiani con lo scudiscio e con il bastone, li frustavano, li schiaffeggiavano, li prendevano a calci, e non li chiamavano mai in altro modo che cani. Così si verificò la progressiva estinzione di questi infelici e nulla di questo si seppe in Spagna»

da Bartolomé de Las Casas, La leggenda nera, a cura di A. Pincherle, Feltrinelli

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Fondata su una bugia? Alcune considerazioni in margine sull’articolo 1 della nostra Costituzione

Alcune considerazioni in margine sull’articolo 1 della nostra Costituzione alla luce del saggio di Gustavo Zagrebelsky “Fondata sul lavoro”.

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di Gustavo Micheletti
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Cos’è un diritto? Si può ritenere che un diritto – in senso soggettivo, ovvero proprio di un soggetto, di un individuo, di un cittadino – sia quel potere che una comunità, attraverso le sue istituzioni, e quindi attraverso quel complesso di norme che va a costituire il «diritto oggettivo», conferisce a un individuo o a un gruppo d’individui rispetto ad altri individui, gruppi d’individui o all’intera collettività e alle sue istituzioni.

Questi diritti soggettivi possono essere stabiliti sulla base della natura (ma in questo caso si apre il dibattito su da chi essi debbano essere stabiliti e riconosciuti, e per quali ragioni), o su un’abitudine, o su un accordo o contratto (più o meno razionalmente giustificati rispetto a uno scopo). Nel linguaggio comune si parla anche del «diritto del più forte» e in questo caso il diritto si fonderebbe solo su una prerogativa personale, la forza specifica di un individuo.

A parte quest’ultimo caso, il godimento di qualche diritto implica che esso sia garantito da qualcun altro, o da qualcos’altro; per esempio, da un’istituzione abbastanza autorevole sotto il profilo politico o giuridico da poter tutelare chi ne è detentore. Nel caso di un diritto costituzionale, s’intende che il suo godimento sia garantito dalla Costituzione attraverso le istituzioni dello Stato, che avrebbe appunto anche l’obbligo di rendere effettivi i diritti stabiliti dalla stessa Costituzione attraverso leggi con essi coerenti.

Non è tuttavia evidente che alla Costituzione italiana si possa attribuire questa caratteristica per tutti i diritti in essa contemplati. Non tutti i diritti di cui in essa si parla sono infatti ritenuti pienamente attuabili, e questa circostanza la differenzia da molte altre Carte costituzionali.

Secondo Stefano Rodotà, per esempio, “il diritto è un apparato simbolico che struttura un’organizzazione sociale anche quando si sa che alcune sue norme sono destinate a rimanere inapplicate”.

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Marco Mondini, “Fiume 1919. Una guerra civile italiana”

Marco Mondini, Fiume 1919. Una guerra civile italiana, Roma, Salerno («Aculei», 35), 2019, 129 pp., 14 euro.

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di Luciano Curreri (ULiège)
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Un esperimento di recensione.

Una guerra non finisce mai quando vogliamo – magari nutriti delle migliori intenzioni del mondo – che finisca. Non basta, come dovrebbe essere ormai noto, un trattato di pace, sia perché quest’ultimo può nascondere le origini di un’altra guerra, sia perché una guerra è come un grosso autotreno sparato ai cento all’ora in autostrada: pur frenando, non si ferma subito e, spesso e volentieri, sbanda e travolge non pochi mezzi e non poche persone presenti sul suo ormai irregolare percorso. Se poi la guerra si chiama Prima guerra mondiale o, addirittura, Grande Guerra…

Dice subito Mondini: «All’Italia andò anche peggio. Convinti di aver vinto la guerra sul campo, ma di aver perduto la pace, molti italiani non deposero mai né le coscienze né (quel che è peggio) le armi, e il paese scivolò quasi senza interruzione dalla guerra mondiale alla guerra civile» (p. 10). E qui sta anche una certa novità, che già campeggia, peraltro, nel sottotitolo del libro-anniversario di Marco Mondini, Fiume 1919. Una guerra civile italiana, uscito da un paio di mesi, nella collana della Salerno diretta da Alessandro Barbero, «Aculei», di cui mi era capitato di dire qualcosa, non proprio a caso, tempo fa, all’altezza delle prime, pungenti uscite (http://domani.arcoiris.tv/il-fascismo-e-stato-e-rimane-antisemita-e-razzista-non-date-retta-alla-bugia-italiani-brava-gente/).

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IL TERZO SGUARDO 56. Walter Bernardi, “Il “caso” Fiorenzo Magni. L’uomo e il campione nell’Italia divisa”

Walter Bernardi, Il “caso” Fiorenzo Magni. L’uomo e il campione nell’Italia divisa, Portogruaro (Venezia), Ediciclo, 2018

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di Giuseppe Panella*

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Merito principale del libro di Bernardi è quello di rendere, con uno stile sobrio ma mai privo di importanti suggestioni letterarie, il clima e le vicende storiche di cui si impegna a dare delle spiegazioni significative cercando di non prendere posizioni preconcette e infondate sotto il profilo della storia ma di capire con la lucidità dello studioso di razza quello che effettivamente accadde in anni che sono ancora vicini a noi nella contiguità temporale ma che forse sono ormai già irrimediabilmente lontani dalla mentalità odierna. Il “caso” Fiorenzo Magni esplorato in questo suo libro importante non riguarda ovviamente soltanto la pura e semplice vicenda giudiziaria, sportiva e umana del campione ciclistico di Vaiano. Non sarebbe, in tal caso, il libro significativo e inquietante che è. L’accento critico e storico, infatti, va messo su quel “divisa” che sintetizza tragicamente e brevemente la situazione italiana e non solo all’alba del 1948 ma anche successivamente (lo stesso avviene con il titolo di un vecchio libro di Remo Bodei, Il noi diviso. Ethos e idee dell’Italia repubblicana, Torino, Einaudi, 1998 che tratta, in ottica molto diversa, tematiche assai simili).

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«Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio!». Massimo Ortalli, “Gaetano Bresci, tessitore, anarchico e uccisore di re”

Massimo Ortalli, Gaetano Bresci, tessitore, anarchico e uccisore di re, pref. Ascanio Celestini, Nova Delphi, 2011, pp.336, 10,00€

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di Francesco Sasso

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Il 6 maggio del 1898, il generale Bava Beccaris, comandante di corpo d’armata, proclamò lo stato d’assedio a Milano e fece intervenire contro i dimostranti interi reparti di cavalleria e di artiglieria, i quali operarono per le vie della città come contro un nemico. Fu una strage. Morti e feriti, fra cui donne e bambini scesi in piazza sotto la spinta della fame, si contarono a centinaia; arresti e condanne si abbatterono sui capi dei partiti d’opposizione antigovernativa, dell’estrema sinistra, dei socialisti e degli anarchici. In verità, l’insurrezione aveva avuto carattere di spontanea protesta. Il generale Bava Beccaris ricevette dal sovrano Umberto I elogi ed onorificenze. In tali condizioni maturarono alla Camera progetti di legge fortemente restrittivi dei fondamentali diritti di libertà dei cittadini, quali libertà di riunione, di associazione e stampa. E questa non fu la prima ed unica strage di massa di fine Ottocento.

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IL TERZO SGUARDO n.32: Le epifanie del gatto. Marina Alberghini, “All’ombra del gatto nero”

Le epifanie del gatto. Marina Alberghini, All’ombra del gatto nero, Milano, Mursia, 2011

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di Giuseppe Panella*

Apparentemente il gatto nero e le sue vicissitudini non sembrerebbero il soggetto adatto per una ricostruzione così a vasto raggio della cultura occidentale (fa eccezione il bel saggio che ricostruisce Il grande massacro dei gatti, opera di Robert Darnton, un pregevole storico dell’Illuminismo che rievoca questo episodio realmente avvenuto a Parigi a metà del Settecento). Eppure Marina Alberghini è riuscita, attraverso una vertiginosa carrellata che parte dall’antico Egitto e finisce praticamente ai giorni nostri, a trasformare la figura del gatto in una sorta di magico psicopompo che accompagna gli uomini e la loro esistenza dagli albori della loro storia fino ad alcune delle sue manifestazioni più recenti. Continua a leggere “IL TERZO SGUARDO n.32: Le epifanie del gatto. Marina Alberghini, “All’ombra del gatto nero””

Democrazia liberale e schiavitù. Luciano Canfora, “La democrazia. Storia di una ideologia”

Luciano Canfora, La democrazia. Storia di una ideologia, Bari, Laterza, 2008
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di Antonino Contiliano

ll principio della necessità della schiavitù
ne’ popoli precisamente liberi, è verissimo.
Leopardi, Zibaldone

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In questa opera – La democrazia. Storia di una ideologia – Canfora tratta della democrazia e del suo rapporto con la libertà all’interno della storia delle idee – ideo-logia – e del suo cammino attraverso la nascita delle istituzioni che ne hanno ordinato la convivenza non pacifica. Il percorso fatto dall’autore copre l’intero tragitto che va dagli esordi greci fino alla nuova carta costituzionale dell’Unione Europea, quella che ai nostri giorni i partiti costituenti hanno messo a punto a Strasburgo.

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STORIA CONTEMPORANEA n.24: L’enigma senza risposta. Leandro Castellani, “Mistero Majorana. L’ultima verità”

Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaire Dreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei.  (G.P)

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di Giuseppe Panella

L’enigma senza risposta. Leandro Castellani, Mistero Majorana. L’ultima verità, Firenze, Clinamen, 2006

Periodicamente il mistero Majorana ritorna ad occupare le pagine culturali dei giornali e (meno spesso) gli scaffali delle biblioteche. Ma che cosa è successo veramente al geniale fisico siciliano di Catania? E’ quello che probabilmente nessuno, nonostante le ipotesi più fantasiose, saprà mai.

Il libro di Leandro Castellani cerca di rispondere a questa domanda partendo dai dati noti. Lo stesso aveva provato a fare l’attento e ben filologicamente accurato volume di Erasmo Recami ormai giunto ala sua quinta edizione (Il caso Majorana: epistolario, documenti, testimonianze, Roma, Di Renzo, 2008). Stesso scopo aveva avuto il romanzo “storico” di Leonardo Sciascia (La scomparsa di Majorana, Torino, Einaudi, 1975) da cui ha ripreso vigore l’interesse di molti lettori anche non addetti ai lavori (quale era lo stesso Recami all’epoca, che Sciascia, nel suo libro, definisce giovane ricercatore e che oggi, invece, risulta insigne fisico teorico professore presso l’Università di Bergamo) ma puri appassionati all’enigma rappresentato dalla scomparsa dello studioso siciliano. Tra di essi c’è stato probabilmente anche il grande economista Federico Caffè che proprio al testo sciasciano sembra essersi ispirato per mettere in scena la propria scomparsa personale (è quello che sostiene Ermanno Rea nel suo L’ultima lezione, Torino, Einaudi, 20002, p. 18, dedicato per l’appunto alla scomparsa di Caffè; dal libro è stato tratto anche un film dallo stesso titolo, diretto da Massimo Martella e Fabio Rosi, ma non particolarmente riuscito).

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Inchiesta su Gesù di Corrado Augias e Mauro Pesce

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Recensione/schizzo

“Voi chi dite che io sia?” chiede Gesù ai discepoli. La risposta non è semplice. Corrado Augias, noto giornalista, e Mauro Pesce, biblista e storico del cristianesimo, hanno tentato di dare una risposta a quella domanda in Inchiesta su Gesù, un libro scritto nel tentativo di ricostruire la figura storica di Gesù.

Le notizie di cui disponiamo sono frammentarie e scarse le fonti in merito. Gli studiosi hanno discusso a lungo sulla figura “storica” di Gesù. Si tratta, però, di una discussione dai limiti evidenti, perché le informazioni giunte a noi grazie ai quattro vangeli canonici e ai vari vangeli apocrifi sono assai manipolate e, quindi, presentano vari problemi storiografici. Tuttavia, Inchiesta su Gesù è un libro che invita il lettore ad allargare la propria conoscenza e la propria consapevolezza storica, anche perché, come scrive il prof. Pesce nella postfazione, “la ricerca storica rigorosa non allontana dalla fede, ma non spinga neppure verso di essa”.

f.s.

[Corrado Augias – Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori (I miti), 2007, pp.356, € 6,00]

Storia di Roma di Jules Michelet

Recensione/schizzo #24

Jules Michelet (1798-1874), storico francese, autore di Histoire Romaine (Storia Romana), dell’Histoire de France (Storia di Francia) che completò con il titolo Du Peuple (Del popolo) ed altre opere sociali, descrittive e poetiche, come Oiseau (L’uccello), La Mer (il mare), La Montagne (La montagna) ecc.

Negli ultimi tre mesi ho letto Histoire Romaine (Storia Romana). Lettura avvincente. Definì egli stesso il suo metodo: fare risorgere la vita intera del passato; e con la ricerca scrupolosa dei fatti di ogni genere e dello stato sociale e morale, risulta un grande storico. Alla ricerca attenta dei documenti, egli aggiunse inoltre la sua sensibilità, il suo amore per gli umili, per la natura, i suoi rapimenti davanti all’arte, le sue collere, per cui l’opera storica acquista pure un carattere epico. Tuttavia non possiamo nascondere che alle volte le sue passioni politiche gli tolgono la necessaria imparzialità ed egli cade allora nella polemica violenta.

Un coinvolgente viaggio nella storia romana. Il suo stile è romantico: immaginoso, vivace, poetico.

f.s.

[Jules Michelet, Storia di Roma, trad. Aldo Marcovecchio, Rusconi libri, 2002, pp.636 con immagini, 10 € ]

Catilina di Giuseppe Antonelli

 Recensione/schizzo #7

 Se nella letteratura classica Catilina ha conservato per lo più l’immagine dello scellerato criminale, codificata da Cicerone e Sallustio, durante il corso dei secoli ha dato luogo a molteplici interpretazioni, suggerite dal suo duplice aspetto o di bieco cospiratore ai danni dello Stato, o di democratico, campione della rivoluzione. Ma soprattutto ha generato un mito che, alterando le linee storiche e sociologiche del personaggio e dei suoi compagni, ne ha determinato ora una fantasiosa popolarità, ora una distorta politicizzazione.

Ma chi era Catilina? Ma com’era davvero la congiura di Catilina?
Lo racconta bene, con un pizzico d’ironia, Giuseppe Antonelli in Catilina.
Il libro è storico, ma si presta ad una lettura ludica, come fosse un romanzo di genere, con digressioni su personaggi secondari e oscuri della società romana del periodo repubblicano. Il libro è piacevole, leggero. Non è per specialisti, tranquilli.

Altro libro da me letto, sempre di Giuseppe Antonelli, è Storia di Roma antica- Dalle origini alla fine della repubblica. Anch’esso: da leggere.

 Entrambi i volumi sono stati pubblicati nei Tascabili Economici Newton. All’epoca costavano 1000 lire (al cambio odierno: un euro e cinquanta), 100 paginette. Cercate nelle edicole o [QUI].

f.s.