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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Stendhal in Sicilia. Per amore di Stendhal, Sciascia diventa napoleonico
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di Francesco F. Forte
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«Non la finiremo mai con Stendhal» (Paul Valéry); «Ha saltato un secolo intero, il diciannovesimo» (Stefan Zweig); «un Eden delle passioni in libertà» (Julien Gracq); «O si è stendhaliani o non lo si è» (Émile-Auguste Chartier-Alain); “Stendhal for ever”: ex libris ricordato da Sciascia (si ama tutto di Stendhal»); «romanzo puro, e Stendhal ne è, giustamente, il campione, affabulatore mai domo» (Giovanni Macchia); «nella scrittura domina, travolgente e incontrastato, il puro gusto del racconto, della narrazione: uno stile da Mille e una notte» (Francesco Flora).
Per Leonardo Sciascia, ancora, «la gioia che dà Stendhal è imprevedibile quanto la vita, quanto le ore di una giornata e quanto le giornate di una vita». Una gioia che accompagna lo scrittore di Racalmuto attraverso gli stadi della giovinezza, della maturità e dell’affacciarsi della vecchiaia. In un testo del lontano 1978, apparso su Mondo Operaio, scrive, a proposito dei tre gradi dello stendhalismo: «Il più bel libro di Stendhal è l’Henry Brulard. Ci sono tre gradi dello stendhalismo. In un primo si crede che il più bel libro di Stendhal sia Il rosso e il nero; poi ci si converte alla Certosa di Parma; in un terzo grado, quando lo stendhalismo è arrivato alla sua perfezione, ci si convince che il suo più grande libro è la Vie de Henry Brulard».
Continua a leggere “Stendhal in Sicilia. Per amore di Stendhal, Sciascia diventa napoleonico”
Stefano Lanuzza, Scrittore contro. L’opera di Leonardo Sciascia, Jouvence, 2020, pp.147, € 14,00
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di Francesco Sasso
Non pochi critici hanno analizzato l’opera di Leonardo Sciascia con alterne vicende, ma un buon punto di partenza è senza dubbio Scrittore contro. L’opera di Leonardo Sciascia di Stefano Lanuzza, saggio pubblicato pochi mesi fa presso l’editore Jouvence. Uno studio completo, come quello di Stefano Lanuzza, richiede perspicue doti di analisi storico-culturale. L’autore del saggio analizza l’intera opera dello scrittore siciliano, sia narrativa che saggistica, e coglie, a mio parere bene, gli aspetti di più concreto spessore socio-politico dello scrittore siciliano. Lanuzza ci mostra come Sciascia oscilla fra un dolente scetticismo di remota ascendenza isolana e una sorta di fiducia illuministica nei poteri della ragione, ci segnala come l’opera sciasciana può nell’insieme leggersi come un monumento sulla sconfitta della ragione, ovvero un lungo racconto dell’impari – e perciò fatalmente perdente – lotta che la coscienza intellettuale impegna a difesa del suo mandato etico-civile contro il potere (legale ed illegale).
Il senso di questa estrema sfida è bene analizzato da Stefano Lanuzza in modo puntuale e attraverso una scrittura asciutta e lineare.
f.s.
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[Leggi tutti gli articoli di Francesco Sasso pubblicati su RETROGUARDIA 2.0]
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«Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole,
E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L’arida pietra nessun suono d’acque.
C’è solo ombra sotto questa roccia rossa,
(Venite all’ombra della roccia rossa),
E io vi mostrerò qualcosa di diverso
Dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi,
O dall’ombra vostra che a sera incontro a voi si leva;
In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.»
T. S. Eliot, The waste land, 1922
Pensi: la scienza… L’abbiamo combattuta tanto! E infine, che scruti la cellula, l’atomo, il cielo stellato; che ne carpisca qualche segreto; che divida, che faccia esplodere, che mandi l’uomo a passeggiare sulla luna: che fa se non moltiplicare lo spavento che Pascal sentiva di fronte all’universo?
Leonardo Sciascia, Todo modo, 1974
ETTORE MAJORANA. IL MITO DEL RIFIUTO DELLA SCIENZA
I limiti della ricerca e delle applicazioni scientifiche
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di Francesca Vennarucci
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Dal 26 marzo 1938 si perdono le tracce del trentunenne fisico siciliano Ettore Majorana: fra la partenza e l’arrivo di un misterioso viaggio per mare da Palermo a Napoli scompare colui che Fermi non esiterà a definire un genio, della statura di Galileo e di Newton. Suicidio, come gli inquirenti dell’epoca vogliono credere e lasciar credere, o volontaria fuga dal mondo e dai terribili destini della scienza?
L’enigma irrisolto nasconde una verità che tenta l’immaginazione di Leonardo Sciascia: nel 1975 egli dedica al caso un breve romanzo, La scomparsa di Majorana, nel quale pur partendo dalla cronaca e dai documenti, giunge fin dentro l’anima del personaggio Majorana.
Sciascia ci fornisce un ritratto articolato dell’inquieta personalità del giovane scienziato e la inserisce nel contesto storico degli anni Trenta, anni ricchi di speranze e scoperte per la fisica atomica, ma anche densi di presagi funesti: anni che vedono l’affermazione dei regimi totalitari in molti Paesi europei e che sfoceranno nella seconda guerra mondiale, durante la quale molti scienziati saranno impegnati nella creazione di ordigni micidiali, tra cui la bomba atomica. Il fatto che Majorana sia scomparso alla vigilia di tali eventi rende più emblematica la sua figura: si può forse immaginare che egli prefigurasse quanto sarebbe successo?
Continua a leggere “ESERCIZI DI LETTURA n.7: ETTORE MAJORANA. IL MITO DEL RIFIUTO DELLA SCIENZA”
Una ‘trilogia’ di Leonardo Sciascia
Ma egli è siciliano. E qui salta fuori la difficoltà.
D. H. Lawrence
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di Stefano Lanuzza
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La corda pazza (1970)
In principio è la Sicilia, e non c’è libro di Leonardo Sciascia su cui l’Isola non proietti la sua ombra, ora sfolgorante ora fosca, che si estende impregnando di sé, del suo multiculturale retaggio e del suo carattere irriducibile a formule definitive, l’Europa e il mondo.
Scrittore europeo rivolto al mondo, il maestro di Racalmuto, maestro dei suoi lettori e di empatici esegeti, Sciascia si sofferma dapprima sul tema dell’insularità foriera di “una specie di alienazione, di follia” (cfr. il paradosso pirandelliano circa la “corda pazza” che connoterebbe una “‘tipicità’ della vita siciliana”) o di “atteggiamenti di presunzione, di fierezza, di arroganza” che sono gli altri nomi dell’“insicurezza”, della “vulnerabilità” e d’una inveterata “tendenza al separatismo”. Se poi se ne distacca, lo fa ricordando come la cultura siciliana nel corso dei secoli abbia saputo esprimersi “in precisa sincronia ai movimenti culturali europei”.
Pertanto non è da condividere la tesi del filosofo Giovanni Gentile che, in nome del suo idealismo confluito in un “nazionalismo […] divenuto poi fascismo”, si rappresenta una Sicilia pressoché “sequestrata”, hortus conclusus emarginato e marginale o privo di conoscenza fuori di sé…
Ma allora – obietta Sciascia – “da quali ‘officine’ uscivano tutti quei quadri che nei secoli XV e XVI le dogane siciliane registrano in esportazione? E come mai nel Seicento poeti in dialetto siciliano vengono stampati a Venezia e a Firenze? […] perché e come gli architetti siciliani del barocco ebbero più contatti con Parigi che con Roma?”.
Andrea Verri, Per la giustizia in terra. Leonardo Sciascia, Manzoni, Belli e Verga, prefazione di Ricciarda Ricorda, Mira (Venezia), ArtPrint Editrice, 2017
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di Giuseppe Panella
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La bibliografia su Leonardo Sciascia e la sua produzione letteraria, saggistica, aforistica, teatrale (e chi più ne ha più ne metta) è ormai così vasta e così ampia da risultare incontrollabile anche al più attento dei critici e /o dei lettori. Questa raccolta di saggi di Andrea Verri sarebbe sfuggita anch’essa se non fosse per l’originalità delle connessioni e dei rapporti che costruisce a partire dallo scrittore siciliano per giungere a lambire e affrontare gran parte della cultura letteraria italiana. La cultura letteraria dispiegata da Sciascia nelle sue opere è stata enorme e i collegamenti presenti nella sua produzione sono stati di grande ampiezza e notevole qualità fino a formare una vera e propria ragnatela di riferimenti letterari. L’intertestualità, quindi, come tecnica di indagine a livello di analisi della tessitura stilistica e ideologica presente nelle opere dello scrittore siciliano costituisce il contributo metodologico più significativo presente in questo volume di Verri mentre a livello tematico molto significativi sono i diversi sondaggi compiuti riguardo la sua relazione con alcuni autori classici italiani e il suo possibile riscontro nel complesso della produzione stessa sciasciana.
Come annota Ricciarda Ricorda nella sua intensa prefazione al volume:
L’attenzione al dato etico sembra essere il filo rosso che consente di accostare all’analisi del manzonismo di Sciascia il rilevamento del suo interesse per Belli, la cui continuità nel tempo Verri riporta a ragione proprio alla dimensione morale evidente nella produzione del poeta ottocentesco. Anche in lui, dunque, lo scrittore siciliano cerca quanto più gli sta a cuore, cerca, nonostante tutte le differenze e la distanza, se stesso» (p. 3).
Giorgio Longo (a cura di), Sciascia e Parigi. Lo scrittore nella città, Passim, Catania 2016, 135 pp., 16 euro
Rosario Castelli, «Contraddisse e si contraddisse». Le solitudini di Leonardo Sciascia, Cesati (“Strumenti di Letteratura Italiana”, 59), Firenze 2016, 135 pp., 15 euro
Gabriele Fichera, Le asine di Saul. Saggismo e invenzione da Manzoni a Pasolini, Euno (“Le Scritture della Buona Vita”, 7), Leonforte (En) 2016, 253 pp., 16,50 euro
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di Luciano Curreri*
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Sono usciti, da Passim di Catania, nel settembre del 2016, in bella veste editoriale, gli atti, curati da Giorgio Longo, della Giornata di Studi dedicata a Sciascia e Parigi e tenutasi il 9 novembre 2009 presso l’Istituto italiano di Cultura. Il curatore sceglie un’epigrafe clamorosa dall’ultimo testo di Cruciverba, che a proposito dei soggiorni sciasciani nella capitale francese suggerisce: «La mia aspirazione a vivere in una città grande che sia anche paese piccolo vi trova appagamento». E poi a seguire — se andiamo a rileggere il paragrafo di Parigi in questione — c’è il fatto di scoprirsi a Place Pigalle «come ad una festa di paese».
Continua a leggere “Tre segnalazioni su Sciascia. Città, solitudini, saggismo e invenzione.”
Rossana Cavaliere, Leonardo Sciascia e le immagini della scrittura. Il poliziesco di mafia dalla letteratura al cinema, Pisa, Felici, 2015
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di Giuseppe Panella*
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Leonardo Sciascia è stato tra gli scrittori italiani più importanti del Novecento quello che è stato maggiormente prediletto dai registi e dai produttori cinematografici. Quasi tutta la sua opera romanzesca è stata trasferita sullo schermo sia al cinema che in televisione, con risultati spesso pregevoli e importanti (anche se talvolta non graditi dall’autore stesso che ne parlò, in relazione alla loro uscita, in termini poco elogiativi1). Inoltre l’aspirazione di Sciascia sarebbe stata quella di diventare egli stesso un cineasta anche se tale desiderio non si sarebbe potuto realizzare mai. In uno scritto pubblicato poco prima della morte e poi rifluito in Fatti diversi di vita civile e letteraria2, il valore dell’esperienza e della scrittura cinematografica andava al di là del puro e semplice “piacere dello spettatore” per divenire una vera e propria metafora della conoscenza.
Esoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.
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di Primo De Vecchis
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III Complotto nero petrolio
III.4. Proliferazione di enti e struttura ‘a brulichio’
Ma stiamo divagando, dagli anni Trenta siamo passati con noncuranza agli anni Settanta, eppure questo salto temporale ardito non è casuale, poiché vorrei ora tracciare una breve analogia, come accennai, tra la tecnica dell’elenco di imprese ed enti dell’Astrologo e il medesimo dispositivo retorico adoperato da Pasolini in alcuni appunti di Petrolio. Ho già fatto dei brevi accenni a questo romanzo incompiuto (per la sopraggiunta morte dell’autore), mi pare impossibile riassumerlo in poche righe e non è questa la sede adatta a farlo. Voglio solo tracciare dei contatti specifici e rapidi.
Leonardo Sciascia, Una storia semplice: ombre nella luce della verità
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di Giovanni Inzerillo
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La assai ricca ed eterogenea produzione letteraria di Leonardo Sciascia si conclude col romanzo Una storia semplice pubblicato, per volere dello stesso autore, il giorno della sua morte, avvenuta il 20 novembre del 1989, e ispirato al furto del celebre dipinto di Caravaggio, Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, trafugato nell’ottobre del 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo e da allora mai più recuperato.
Una sorta di testamento letterario, di epigrafe culturale, data l’essenzialità del romanzo, dove confluisce (e forse si comprende) l’intero e certamente complicato percorso narrativo di uno degli autori a furor di critica più rilevanti della seconda metà del ventesimo secolo. Nonostante la brevità che lo ha reso, al di là di qualsivoglia concettualizzazione culturale, uno dei testi più letti e conosciuti, specie tra i più giovani, dell’autore siciliano, Una storia semplice, come recita la quarta di copertina, è «una storia complicatissima». Un tipico giallo sciasciano che, tramite il rapidissimo susseguirsi di eventi e di colpi di scena, e la fugace apparizione di comparse (il prete, il professore, l’autista della Volvo, la moglie e il figlio della vittima), si risolve, come da protocollo, con la scoperta del colpevole dell’omicidio che apre la vicenda. Con una narrazione rapidissima e una prosa fluida e scorrevole Sciascia fissa, come a comporre disordinate tessere di un puzzle, piccole parti (i paragrafi in cui è diviso il testo) in un tutto ben definito ed omogeneo. È un racconto per immagini, non è un caso che la vicenda ruoti attorno a un misterioso dipinto scomparso (non citato sebbene se ne conosca l’ispirazione), che non lascia spazio a psicologie criminali o a complicate indagini investigative. Una storia semplice è, piuttosto, uno straordinario esercizio di bravura letteraria, una formula scientifica, un quesito aritmetico, un gioco di intelligenza che il lettore, ancor più che il brigadiere o il questore protagonisti delle vicenda, è chiamato a risolvere nel più breve lasso di tempo possibile. Recita ancora la quarta di copertina:
Continua a leggere “Leonardo Sciascia, Una storia semplice: ombre nella luce della verità”
Bruno Pischedda, Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco, Bollati Boringhieri, 2011, Torino, pp.338, € 18,50
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di Francesco Sasso
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Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco: dalla presa in esame di questo gruppo di scrittori diversissimi sul piano creativo, Bruno Pischedda trae spunto per un possibile percorso di riflessione intorno al problema del “mandato sociale dell’intellettuale”. Di fronte alle rovine morali e civili del nostro Paese, essi hanno preso la parola in pubblico, spesso dialogando tra loro e con i lettori dei maggiori quotidiani. L’interesse culturale che essi suscitano deriva, tra l’altro, dal fatto che la loro riflessione è debitrice delle istanze intellettuali etico-civili sviluppatesi nel periodo post-bellico e che sono maturate nel clima della Resistenza. Come i loro padri intellettuali, quindi, avvertirono forte il bisogno di usare lo strumento letterario come pungolo critico degli aspetti degenerati della società italiana. Inoltre, come fa notare Pischedda, molte altre risultano essere le suggestioni culturali che hanno operato su di loro: dall’antropologia alla linguistica, dalla nouvelle historie di Bloch e Febvre alla psicoanalisi di Lacan, dalla semiologia di Barthes al magistero di Foucault, dalla sociologia di Adorno alle riflessioni sulla cultura di massa agli studi di McLuhan. Risulta, pertanto, inevitabile, secondo l’autore, che fra Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori ed Eco ci sia una eterogeneità di interpretazioni e di analisi degli oggetti di volta in volta interrogati. Lo studio di Pischedda tenta, allora, di rispondere a tre quesiti posti da lui stesso agli scritti polemici dei cinque autori: «cosa esattamente dicono i polemisti trascelti, in che modo lo dicono e a quale titolo».
Postfazione al volume L’errore giudiziario. L’affaire Dreyfus, Zola e la stampa italiana a cura di Massimo Sestili
di Giuseppe Panella
“La sala straripava di gente: malgrado le imposte, il sole filtrava dentro qua e là e l’aria era già soffocante. Avevano lasciate le vetrate chiuse. Mi sono seduto e i gendarmi sono venuti a mettersi uno per parte. E’ a questo punto che ho visto una fila di facce davanti a me. Tutte mi guardavano: ho capito che erano i giurati. Ma non saprei dire che cosa li distinguesse l’uno dall’altro. L’impressione che avevo era soltanto questa: ero di fronte a una panca del tram e tutti quei viaggiatori anonimi osservavano il nuovo arrivato per scoprire ciò che era ridicolo in lui. So bene che era un’idea sciocca perché qui non era il viaggiatore che cercavano, ma il delitto. Comunque la differenza non è tanto grande e in ogni modo è questa l’idea che mi è venuta”
(Albert Camus, Lo straniero, trad. it. di Alberto Zevi, Milano, Bompiani, 196713 , pp. 102-103).
Dreyfus, Crainquebille e altre vittime di una giustizia sempre più “giusta”
Il solido lavoro e l’accanita ricerca che Massimo Sestili ha compiuto per anni per ricostruire l’impatto che l’affaire Dreyfus ha avuto sulla cultura italiana e europea conserva caratteristiche di originalità anche in un contesto già abbondamente studiato e verificato storicamente come quello relativo alle tragiche vicende giudiziarie subite dallo sfortunato capitano francese di origine alsaziana.
Il segno lasciato dall’affaire nella cultura francese di fine secolo lasciò cicatrici non facilmente rimarginabili se non a costo di immensi sacrifici umani e politici.
E, infatti, bisognerà aspettare il gigantesco “lavacro di sangue” della Prima Guerra Mondiale e l’approdo allo “spirito di Verdun” per ritornare ad una dimensione di Union Sacrée tale da ripetere e riproporre l’unità nazionale in termini simili a quelli nati dalle battaglie contro l’invasore durante la Rivoluzione del 1789 o dalla resistenza contro l’avanzata prussiana in territorio francese del 1870. La cesura introdotta dall’affaire nella storia di Francia fu, per questo motivo, davvero epocale.
Ma la ricostruzione di Massimo Sestili (e le sue implicazioni storiografico-politiche) impongono non soltanto un riesame in chiave storica dell’impatto avuto dall’affaire nel mondo culturale e politico europeo quanto un riepilogo della sua “fortuna” in ambito letterario e soprattutto la sua valutazione in una dimensione più generalmente teorica.
Dall’esame delle risultanze del processo e della detenzione del capitano francese si desume, in primo luogo, quanto la giustizia sia tanto più efficace quando è libera dalla necessità di scoprire a tutti i costi un colpevole “immediato” e che l’azione giudiziaria (in buona sostanza e dopo essersi scrollati di dosso i cascami retorici e burocratici dei sogni sulla possibilità della sua “giustezza” assoluta) si riduce quasi sempre alla ricerca del colpevole.
Il che coincide poi (ancora quasi sempre) con la ricerca di un colpevole (qualunque esso sia e quanto incredibile esso sia da un punto di vista logico e indiziario – il caso della Colonna Infame di manzoniana memoria docet ancora oggi e temo probabilmente per sempre) (1).
Il compito della giustizia (qualsiasi sia l’ordinamento politico, sociale, morale, di classe, di ceto o di categoria economica cui fa riferimento e di cui è il braccio armato) è, quindi, quello di garantire sempre l’esistenza di un colpevole.
Riches, grand commis della giustizia del paese immaginario (ma che a uno sguardo più attento non sembra poi più tale) in cui si svolge l’azione de Il contesto. Una parodia di Leonardo Sciascia non ha dubbi al riguardo.