GARANTIRE IL COLPEVOLE. Logica dell’errore giudiziario. Postfazione di Giuseppe Panella a “L’ERRORE GIUDIZIARIO. L’affaire Dreyfus, Zola e la stampa italiana” di Massimo Sestili

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Postfazione al volume L’errore giudiziario. L’affaire Dreyfus, Zola e la stampa italiana a cura di Massimo Sestili

di Giuseppe Panella

 

“La sala straripava di gente: malgrado le imposte, il sole filtrava dentro qua e là e l’aria era già soffocante. Avevano lasciate le vetrate chiuse. Mi sono seduto e i gendarmi sono venuti a mettersi uno per parte. E’ a questo punto che ho visto una fila di facce davanti a me. Tutte mi guardavano: ho capito che erano i giurati. Ma non saprei dire che cosa li distinguesse l’uno dall’altro. L’impressione che avevo era soltanto questa: ero di fronte a una panca del tram e tutti quei viaggiatori anonimi osservavano il nuovo arrivato per scoprire ciò che era ridicolo in lui. So bene che era un’idea sciocca perché qui non era il viaggiatore che cercavano, ma il delitto. Comunque la differenza non è tanto grande e in ogni modo è questa l’idea che mi è venuta”

   (Albert Camus, Lo straniero, trad. it. di Alberto Zevi, Milano, Bompiani, 196713 , pp. 102-103).

 

    Dreyfus, Crainquebille e altre vittime di una giustizia sempre più “giusta”

 

Il solido lavoro e l’accanita ricerca che Massimo Sestili ha compiuto per anni per ricostruire l’impatto che l’affaire Dreyfus ha avuto sulla cultura italiana e europea conserva caratteristiche di originalità anche in un contesto già abbondamente studiato e verificato storicamente come quello relativo alle tragiche vicende giudiziarie subite dallo sfortunato capitano francese di origine alsaziana.

Il segno lasciato dall’affaire nella cultura francese di fine secolo lasciò cicatrici non facilmente rimarginabili se non a costo di immensi sacrifici umani e politici.

E, infatti, bisognerà aspettare il gigantesco “lavacro di sangue” della Prima Guerra Mondiale e l’approdo allo “spirito di Verdun” per ritornare ad una dimensione di Union Sacrée tale da ripetere e riproporre l’unità nazionale in termini simili a quelli nati dalle battaglie contro l’invasore durante la Rivoluzione del 1789 o dalla resistenza contro l’avanzata prussiana in territorio francese del 1870. La cesura introdotta dall’affaire nella storia di Francia fu, per questo motivo, davvero epocale.

Ma la ricostruzione di Massimo Sestili (e le sue implicazioni storiografico-politiche) impongono non soltanto un riesame in chiave storica dell’impatto avuto dall’affaire nel mondo culturale e politico europeo quanto un riepilogo della sua “fortuna” in ambito letterario e soprattutto la sua valutazione in una dimensione più generalmente teorica.

Dall’esame delle risultanze del processo e della detenzione del capitano francese si desume, in primo luogo, quanto la giustizia sia tanto più efficace quando è libera dalla necessità di scoprire a tutti i costi un colpevole “immediato” e che l’azione giudiziaria (in buona sostanza e dopo essersi scrollati di dosso i cascami retorici e burocratici dei sogni sulla possibilità della sua “giustezza” assoluta) si riduce quasi sempre alla ricerca del colpevole.

Il che coincide poi (ancora quasi sempre) con la ricerca di un colpevole (qualunque esso sia e quanto incredibile esso sia da un punto di vista logico e indiziario – il caso della Colonna Infame di manzoniana memoria docet ancora oggi e temo probabilmente per sempre) (1).

Il compito della giustizia (qualsiasi sia l’ordinamento politico, sociale, morale, di classe, di ceto o di categoria economica cui fa riferimento e di cui è il braccio armato) è, quindi, quello di garantire sempre l’esistenza di un colpevole.

Riches, grand commis della giustizia del paese immaginario (ma che a uno sguardo più attento non sembra poi più tale) in cui si svolge l’azione de Il contesto. Una parodia di Leonardo Sciascia non ha dubbi al riguardo. 

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