La coscienza di Zeno di Italo Svevo

Il capolavoro La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo si riallaccia alla lezione dei grandi scrittori dell’avanguardia europea (Proust, Joyce, Musil). Il romanzo mette in scena l’inettitudine alla vita del protagonista per un’inguaribile malattia della volontà. Infatti, Zeno Cosini vive e al tempo stesso si vede vivere.

Il protagonista narra alcune ‘vicende’ della sua esistenza, ma li ripercorre con una consapevolezza acquisita solo più tardi. Tuttavia la memoria del protagonista respinge ogni tentativo di sistemazione (“ricordo tutto, ma non intendo niente”) e il confine fra malattia e salute si rivela angosciosa zona d’ombra.

L’esplorazione del passato di Zeno Cosini restituisce il profilo di un individuo che delega volentieri ad altri le proprie scelte, che si lascia guidare dal caso e dalle contingenze, immerso nella normalità quotidiana cosparsa da ripetitive azioni banali, da fatti insignificanti, da ridotte abitudini, da meschine e deboli trasgressioni nell’eros.

Il romanzo è edificato sulle fondamenta della psicoanalisi, dell’introspezione e dell’autocoscienza che si convertono immediatamente nell’alibi della menzogna e della manipolazione dell’esperienza vissuta, saldato, il tutto, al concetto darwiniano dell’incapacità di alcuni individui a seguire l’evoluzione della specie e tinteggiato, poi, con una corrosiva e decadente dissacrazione umoristica del soggetto narrante.

La scrittura ondeggia incessantemente fra il discorso diretto del protagonista (il monologo interiore) e il discorso indiretto (il commento del narratore-protagonista). 

Per concludere, La coscienza di Zeno testimonia lo smarrimento dell’anima dissociata e dilaniata di fronte al collasso dei vecchi sistemi di certezze. Romanzo e tema, a mio avviso, attualissimo in quest’inizio di millennio.

f.s.

[Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Newton Compton editori, 1993, pag. 350, Lire 3900]