DISPOSITIVI DEL FANTASTICO. L’horror, il fantasy, la sword & sorcery. Saggio di Giuseppe Panella

«Si aggirava spesso a rapidi passi per la pianura; quando un giorno il cielo azzurro gli apparve segnato da grandi strisce di sangue che dalla valle arrivavano a coprire la città di Samarah. Poiché questo spaventoso fenomeno sembrava raggiungere la sua torre, Vathek pensò sulle prime di accorrere laggiù per vederlo più da vicino; ma sentendo di non potere andare avanti, sopraffatto dall’inquietudine, nascose il volto nelle pieghe della veste. Per quanto terrificanti, fossero questi prodigi, l’impressione che producevano su di lui era appena momentanea e serviva solo a stimolare il suo amore del meraviglioso. Perciò, invece di tornare al palazzo, egli tenne fermo nella decisione di non muoversi…»                 (William Beckford, Vathek)
«Il cuore di ciascuno di noi rimane misterioso in eterno, in quanto dotato di una volontà sua propria. Si mise a scrivere e, facendolo, capì un’altra cosa: che la casualità governa ogni angolo dell’universo tranne i recessi del cuore umano»
(David Guterson, La neve cade sui cedri)
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di Giuseppe Panella*

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1. “L’unica passione della mia vita è stata la paura” (Thomas Hobbes)

Del Fantastico come genere letterario abbiamo ormai una buona tipologia e diversi tentativi (anche accurati, anche se nessuno soddisfacente) di analisi e spiegazione teorica. Li si vedranno all’opera a partire dal meccanismo socio-culturale impiantato da Romolo Runcini per finire con quello psico-formalistico di Tzvetan Todorov. Ce ne sono poi parecchi altri, tutti interessanti e stimolanti ma nessuno certamente definitivo. Manca invece una teoria sia formale che psicologica del Fantasy e delle sue diverse allocazioni letterarie a partire dalla Sword & Sorcery per finire con le diverse ramificazioni (e strutturazioni) dell’ Heroic Fantasy.

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IL TERZO SGUARDO n.34: Il destino della scrittura e la nascita di un mito letterario. Humphrey Carpenter, “Gli Inklings. C. S. Lewis, J. R. R. Tolkien, Charles Williams e i loro amici”

Il destino della scrittura e la nascita di un mito letterario. Humphrey Carpenter, Gli Inklings. C. S. Lewis, J. R. R. Tolkien, Charles Williams e i loro amici, trad. it. di M. E. Ruggerini, Genova-Milano, Marietti 1820, 2011

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di Giuseppe Panella*


C’erano una volta (tra gli anni Trenta e i Quaranta) gli Inklings, scrittori-professori-teologi e cultori della letteratura di genere: quasi tutti insegnavano al Magdalen College di Oxford o a Oxford vivevano come Charles Williams. Avrebbero scritto romanzi memorabili per i loro caratteri innovativi all’interno del genere da loro scelto non tanto per la qualità delle vicende raccontate quanto per l’innovazione profonda da essi apportate alla lingua inglese e al modello narrativo adottato. Tolkien diventerà famoso soprattutto per Lo Hobbit del 1937, inizialmente concepito come un racconto per bambini e soprattutto per il suo colossale seguito, Il Signore degli Anelli (1954-1955). Lewis scriverà tre significativi romanzi di fantascienza (Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra, Questa orribile forza), una fortunata serie di sette libri fantasy (Le Cronache di Narnia) e un romanzo epistolare tra l’apologetico e il grottesco noto in italiano come Le lettere di Berlicche (The Screwtape Letters). Charles Williams lascerà una serie di thriller metafisici in cui eventi misteriosi dal punto di vista criminale si alternano a profondi interrogativi metafisici (La vigilia di Ognissanti, Il posto del leone, Guerra in Paradiso, La pietra di Salomone). Il libro di Humphrey Carpenter (giustamente ormai un classico della biografia letteraria) racconta le loro vite, i loro incontri, le loro strategie letterarie, i loro sogni, le loro sconfitte. Si pone inoltre domande fondamentali riguardo la forma assunta dalle riunioni tenute dagli scrittori che formarono il circolo degli Inklings e il loro destino e la loro fortuna sia durante il periodo in cui esse si svolsero che successivamente:

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Psiche e soma, la guarigione totale. Giovanni Agnoloni, “Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori”

Psiche e soma, la guarigione totale. Giovanni Agnoloni, Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori, Giulianova (TE), Galaad Edizioni, 2011

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di Giuseppe Panella


Giovanni Agnoloni non demorde e dopo la seconda edizione di Nuova letteratura fantasy (Broni (PV), Sottovoce, 2011) pubblica un nuovo saggio su Tolkien e la letteratura fantastica. Questa volta, tuttavia, il collegamento è più vertiginoso e non riguarda soltanto la dimensione letteraria: avviene attraverso la medicina olistica e, in particolare, mediante il complesso percorso psicosomatico effettuato con i cosiddetti Fiori di Bach. Quella della floriterapia è una tecnica terapeutica ormai consolidata anche in Italia ma la novità del tentativo di Agnoloni è di collegarla non soltanto alle medicine alternative e all’omeopatia (cui appartiene) ma alle atmosfere e ai personaggi di un romanzo di assoluta finzione come quello scritto da Ronald Tolkien. L’operazione è certo ardita e non potrà non suscitare perplessità nei cultori della letteratura “pura”. Ma va detto, tuttavia, che lo sforzo dello studioso fiorentino non va nella direzione di cercare impossibili qualità terapeutiche nell’opera di Tolkien quanto nello stabilire possibili connessioni tra le situazioni e i personaggi più significativi del Signore degli Anelli e i diversi modelli di tinture madri che compongono lo strumentario curativo e psicoterapeutico del grande omeopata inglese. Il fatto piuttosto significativo che sia lo scrittore e filologo di Oxford che il medico ideatore della cura con le essenze floreali siano nati o perlomeno vissuti nello stesso luogo (Bach era nato effettivamente a Moseley, nei pressi di Birmingham nel 1886 dove Tolkien arriverà nel 1896, in conseguenza della morte precoce di suo padre e quando aveva quattro anni) è la molla che fa scattare la narrazione di Agnoloni. Non è dato sapere se i due si siano mai incontrati (probabilmente no) ma è sicuro che nutrirono un grande amore per quegli stessi posti:

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