ELOGIO DELLA LENTEZZA. Paul Valéry e la forma della poesia di Giuseppe Panella

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ELOGIO DELLA LENTEZZA. Paul Valéry e la forma della poesia  

di Giuseppe Panella

«La calma nell’azione. Come una cascata diventa nella caduta più lenta e sospesa, così il grande uomo d’azione suole agire con più calma di quanto il suo impetuoso desiderio facesse prevedere prima dell’azione»

(Fredrich Nietzsche, Umano, troppo umano, I)

 

 

1. La soluzione etica della poesia

Fedele ammiratore della snella levigatezza della danza, Valéry teme la fretta e la concitazione della corsa, ha timore della frenesia concatenata alla perdita di sensibilità del moto senza tregua.

Più che dal vuoto (1), appare atterrito dal movimento infinito e senza senso che incontra ad ogni pie’ sospinto: il rifiuto di “ogni prodigioso incremento di fatti e di ipotesi” (2) compare in quasi tutte le sue opere. Basteranno alcuni specimina a dimostrarlo:

« – Vuole dire che più si trova, più si cerca ; e che più si cerca, più si trova ?

   –  Esatto. Certe volte mi sembra che fra la ricerca e la scoperta si sia formata una relazione paragonabile a quella che i stabilisce fra la droga e l’intossicato.

   – Molto curioso. E allora tutta la trasformazione moderna del mondo…

   – Ne è il risultato; e ne rappresenta, del resto, un altro aspetto … Velocità. Abusi sensoriali. Luci eccessive. Bisogno dell’incoerenza. Mobilità. Gusto del sempre più grande. Automatismo del sempre più “avanzato”, che si manifesta in politica, in arte, e … nei costumi» (3).

L’idea fissa, dialogo tra il Narratore ed un medico, è del 1931 (4) mentre in quella raccolta di études de circonstance che è il volume Regards sur le monde actuel (1945) spicca proprio un articolo, “Propos sur le progres”, che insiste sul carattere “terroristico” della velocità e della fretta.

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Il cimitero marino di Paul Valery

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Ho letto Le cimetière marin (Il cimitero marino) di Paul Valery (1871-1945). Da giovane fu discepolo e amico di Mallarmé, parve rievocare gli ideali parnassiani, ricercando unicamente l’assoluta perfezione formale. Ma in realtà disse chiaro che la poesia doveva essere unicamente un exercice, condotto con gusto ed abilità, null’altro.

Con una simile affermazione di principio, Valery si mascherava nella maniera più sicura, creando poi liberamente liriche in cui la rimbaldiana <<alchimia della parola>> diviene una sorta di <<alchimia della forma perfetta>>.

Pubblicata una prima raccolta di versi, egli tacque per venti anni, dedicandosi allo studio delle matematiche ed a ricerche filosofiche. Riapparve sulla scena letteraria con una serie di liriche e con scritti teorici e dialoghi filosofici, d’ispirazione platonica, che gli valsero l’acclamazione a maggior poeta francese, il seggio all’Accadémie ed una serie d’onori.

Il cimitero marino è poema notevole, in cui il poeta, movendo dalla meditazione della morte, approda e poi si immerge, glorificandosi, nell’oceano dell’universo e dell’eternità.
In quest’opera poetica l’essere si scontra con il non-essere, il senso con il non-senso, onde reprimere la vita con la vita.
E’ l’avventura lirica di un poeta che attraversa la notte oscura, ma, simultaneamente, rimane nella consistenza e nella fissa vertigine della luce.
Classicismo e romanticismo, paganesimo e misticismo in una sintesi carnale e pura.
Il movimento delle strofe eccede e diventa stasi, eternità, rivolta luciferina; suono partorito nel grembo eterno dell’esistenza, del cosmo e della mente.

f.s.

[Paul Valéry, Il cimitero Marino, Torino, Einaudi Ed., 1966, pagine 52, euro 6,71. Trad. Mario Tutino]