ESERCIZI DI LETTURA n.7: ETTORE MAJORANA. IL MITO DEL RIFIUTO DELLA SCIENZA

«Quali sono le radici che s’afferrano, quali i rami che crescono

Da queste macerie di pietra? Figlio dell’uomo,

Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto

Un cumulo d’immagini infrante, dove batte il sole,

E l’albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,

L’arida pietra nessun suono d’acque.

C’è solo ombra sotto questa roccia rossa,

(Venite all’ombra della roccia rossa),

E io vi mostrerò qualcosa di diverso

Dall’ombra vostra che al mattino vi segue a lunghi passi,

O dall’ombra vostra che a sera incontro a voi si leva;

In una manciata di polvere vi mostrerò la paura.»

T. S. Eliot, The waste land, 1922

Pensi: la scienza… L’abbiamo combattuta tanto! E infine, che scruti la cellula, l’atomo, il cielo stellato; che ne carpisca qualche segreto; che divida, che faccia esplodere, che mandi l’uomo a passeggiare sulla luna: che fa se non moltiplicare lo spavento che Pascal sentiva di fronte all’universo?

Leonardo Sciascia, Todo modo, 1974

ETTORE MAJORANA. IL MITO DEL RIFIUTO DELLA SCIENZA
I limiti della ricerca e delle applicazioni scientifiche

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di Francesca Vennarucci
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Dal 26 marzo 1938 si perdono le tracce del trentunenne fisico siciliano Ettore Majorana: fra la partenza e l’arrivo di un misterioso viaggio per mare da Palermo a Napoli scompare colui che Fermi non esiterà a definire un genio, della statura di Galileo e di Newton. Suicidio, come gli inquirenti dell’epoca vogliono credere e lasciar credere, o volontaria fuga dal mondo e dai terribili destini della scienza?

L’enigma irrisolto nasconde una verità che tenta l’immaginazione di Leonardo Sciascia: nel 1975 egli dedica al caso un breve romanzo, La scomparsa di Majorana, nel quale pur partendo dalla cronaca e dai documenti, giunge fin dentro l’anima del personaggio Majorana.

Sciascia ci fornisce un ritratto articolato dell’inquieta personalità del giovane scienziato e la inserisce nel contesto storico degli anni Trenta, anni ricchi di speranze e scoperte per la fisica atomica, ma anche densi di presagi funesti: anni che vedono l’affermazione dei regimi totalitari in molti Paesi europei e che sfoceranno nella seconda guerra mondiale, durante la quale molti scienziati saranno impegnati nella creazione di ordigni micidiali, tra cui la bomba atomica. Il fatto che Majorana sia scomparso alla vigilia di tali eventi rende più emblematica la sua figura: si può forse immaginare che egli prefigurasse quanto sarebbe successo?

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ESERCIZI DI LETTURA n. 5: “Il pane che si porta in carcere”. Dante nella poesia di Osip Mandel’stam

Il pane che si porta in carcere”. Dante nella poesia di Osip Mandel’stam

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di Francesca Vennarucci

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Come accade che un ebreo polacco, stretto nella morsa della Russia staliniana, sviluppi una autentica passione per Dante, inizi a studiare l’italiano per leggerlo in lingua originale e, anch’egli poeta, lo elegga a sua guida, a suo nutrimento? Perché? Cosa rappresenta Dante per Osip Mandel’stam? Attraverso il dialogo con Dante, Mandel’stam intesse una fitto colloquio con altri grandi poeti europei che nella vita e nell’opera dell’esule fiorentino cercarono una chiave per comprendere se stessi e i drammatici eventi storici novecenteschi: Eliot e Pound, ma anche Montale e Seamus Heaney. Sappiamo che Mandel’stam, quando iniziò a temere di venire arrestato, portava sempre con sé un’edizione tascabile della Commedia: non poteva tollerare l’idea del carcere senza Dante…e sappiamo anche che la sua ultima raccolta poetica ci è giunta perché la moglie Nadezda aveva imparato a memoria tutti i testi. L’esilio, il pane altrui che sa di sale, le scale da scendere e salire per chiedere aiuto e protezione, ma anche la sublime libertà del cielo, di uno sguardo che oltrepassa il visibile… È la storia di una amicizia, di un intimo colloquio, che, come tutti i veri profondi legami, aiuta a conoscersi e a trovare il proprio posto nel mondo.

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ESERCIZI DI LETTURA n. 2: La verità impronunciabile. Il silenzio della letteratura

La verità impronunciabile. Il silenzio della letteratura

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di Francesca Vennarucci

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Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna. […]

[…] Ahi, per la via

odo non lunge il solitario canto

dell’artigian, che riede a tarda notte,

dopo i sollazzi, al suo povero ostello;

e fieramente mi si stringe il core,

a pensar come tutto al mondo passa,

e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito

il dì festivo, e al festivo il giorno

volgar succede, e se ne porta il tempo

ogni umano accidente. Or dov’è il suono

di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido

de’ nostri avi famosi, e il grande impero

di quella Roma, e l’armi, e il fragorio

che n’andò per la terra e l’oceano?

Tutto è pace e silenzio, e tutto posa

il mondo, e più di lor non si ragiona.

[…]

(da La sera del dì di festa, di Giacomo Leopardi)

Dopo una giornata di festa, animata da suoni, grida, fragori, solo il canto dell’artigiano che torna a casa squarcia la profondissima quiete della notte. La coltre del silenzio già posa, densa e tangibile, so­pra i campi e in mezzo agli orti, avvolge le cose nell’oblio, cancella le voci del giorno respin­gendole in una dimensione irreale, dolorosa. Solo il canto notturno che a poco a poco si allontana ripopola il silenzio di voci, di grida, ma è un attimo: la luce uniforme e silenziosa della luna riprende a posare su tutto il mondo, lasciando lo sguardo dell’osserva­tore a vagare lontano e il suo animo in sub­buglio. E’ possibile notare immediatamente come la costruzione di que­sta po­esia poggi su un’opposizione dialettica: nel silenzio della notte appa­rente­mente quieta, inondata dalla chiarezza lunare, il canto dell’ar­tigiano ha il po­tere di evocare, non solo le voci del giorno appena tra­scorso, ma tutte le voci del mondo, le voci di un passato rumorosis­simo eppure inghiottito dal silen­zio del Tempo.

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