Vi raccomando caldamente la prima antologia italiana del poeta Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo (1984-2008), cura e traduzione di Andrea Inglese (Metauro Edizioni 2009).
Questo saggio, che pubblichiamo per gentile concessione dell’autore, è estratto dall’introduzione al volume. (f.s)
[QUI] la poesia PROGRAMMA DEL MORTO (PROGRAMME DU MORT)
di Andrea Inglese
Motivi per un’antologia*
È opportuno dire subito che la proposta di un’antologia poetica, in Italia, dell’opera di Jean-Jacques Viton presenta un aspetto paradossale. Generalmente, una pubblicazione antologica di un poeta straniero, con alle spalle un ampio e assodato itinerario, interviene dopo che già si è avuto modo di leggere in traduzione una o più opere significative di quello stesso autore, o dopo che se ne conosca sufficientemente il lavoro attraverso traduzioni apparse in rivista. Viton, classe 1933, attivo come poeta dal 1963, indefesso promotore di riviste militanti, ed autore ad oggi di quindici libri di poesia, avrebbe senz’altro tutti i titoli per essere un nome ormai familiare presso quei lettori italiani che s’interessano di poesia contemporanea. Purtroppo le cose non stanno propriamente così. Non che Viton sia davvero ignoto in Italia, privo di legami con poeti del nostro paese, e mai apparso neppure in rivista. Egli ha persino partecipato più volte a dei festival internazionali di poesia a Milano e a Roma(1), e suoi testi sono stati in diverse occasioni tradotti in italiano. Inoltre, una lunga amicizia lo lega con Nanni Balestrini, personalità non certo appartata del nostro ambiente letterario, e attento osservatore di esperienze poetiche che travalicano i confini nazionali. Questi precedenti, però, non gli assicurano quell’autentica ricezione, in virtù della quale l’esperienza di un poeta straniero, una volta sedimentata attraverso letture e traduzioni, dovrebbe costituire un punto di riferimento e confronto per la nostra produzione poetica.(2) Ciò non accade neppure nel caso di tradizioni contigue, come quella italiana e francese, che lungo una buona parte del secolo scorso, a partire dalle incursioni dei futuristi a Parigi, non hanno cessato di dialogare e di interrogarsi a vicenda.