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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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FONTE (Fondazione Cesare Pavese): https://youtu.be/Hldc8ZExCzs
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Su Liber Liber è iniziato la digitalizzazione per il download gratuito delle opere di Cesare Pavese.
“I manoscritti e dattiloscritti principali sono custoditi nell’Archivio Pavese presso il Centro di studi di letteratura italiana in Piemonte Guido Gozzano-Cesare Pavese della facoltà di lettere dell’Università degli studi di Torino; provengono dalla famiglia (fondo Sini-Cossa) e dalla Einaudi; sul sito HyperPavese https://www.hyperpavese.com/ – database imprescindibile e in progress – curato da Mariarosa Masoero, molti materiali sono disponibili digitalizzati.”
Elenco opere (click sul titolo per il download gratuito)
Critico militante solo a favore della letteratura
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di Stefano Lanuzza
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Geno Pampaloni (1918-2001)
Diversamente da un’affermazione di Pietro Citati secondo cui “Pampaloni non era un critico: ma uno scrittore che si nascondeva” (invero, è un po’ se stesso che Citati… cita), Pampaloni ha le qualità di scrittore pertinenti a un vero critico esperto del canone letterario. A raccoglierne i saggi più belli, “che sono molti, […] ci accorgeremmo” aggiunge Citati “che il romanzo scritto da Geno Pampaloni sulla letteratura italiana moderna rivaleggia con quelli di Pavese, di Bassani, di Cassola, di Calvino” (“Corriere della Sera”, 14 novembre 2011).
Mai dichiaratamente engagé, Pampaloni s’affranca dai moduli dello storicismo, del marxismo, della stilistica, del formalismo, dell’avanguardismo, dello strutturalismo, della semiologia, della filologia, della psicanalisi…; e, convinto della funzione soprattutto civile della critica, interpreta meglio dell’ideologizzante filoneorealista Carlo Salinari il decisivo libro di Alberto Asor Rosa Scrittori e popolo (1965) che giudica sfavorevolmente i provincialismi del populismo e ridimensiona il ruolo dell’impegno sociopolitico degli scrittori. Poiché – rivendica Asor Rosa – “il fatto estetico ha proprie leggi, non confondibili con quelle della politica”.
Libero critico per lettori liberi e possibilmente competenti, così rari nell’italico popolo di non troppo antica alfabetizzazione, Pampaloni scansa in linea di principio le ideologie che vorrebbero prescindere dal merito di un’opera e, pur senza derogare dal ruolo di cronista letterario “giornaliero”, sintetizza la propria nobile opinione della letteratura nel ritratto ‘a specchio’ di Pietro Pancrazi critico-scrittore (saggio pubblicato sul n. 4, aprile 1953, della rivista “Il Ponte” fondata nel 1945 da Piero Calamandrei) e nell’aureo Modelli ed esperienze della prosa contemporanea, incluso nel volume Il Novecento (1987) della Storia della letteratura italiana di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno.
Continua a leggere “Critico militante solo a favore della letteratura. Saggio di Stefano Lanuzza”
Franco Ferrarotti, Al Santuario con Pavese. Storia di un’amicizia, Bologna, EDB, 2015
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di Giuseppe Panella*
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«Ciò che forse non è stato capito dai contemporanei è che in Pavese, come del resto in Adriano Olivetti, benché in tutt’altro modo, era sempre presente e nel fondo, misteriosamente operante, un sentimento religioso che lo rendeva estraneo allo storicismo “laicistico” allora dominante e lo spingeva invece allo studio dei grandi miti, archetipi strutturali, racconti metastorici, risposte criptiche alle pulsioni profonde che costituiscono l’uomo in società. Vico e Frazer al posto di Hegel, per non parlare dei suoi garruli italici nipotini. Ricordo come se fosse ieri che provammo un sommesso divertimento nel riuscire a far passare sotto il naso del crociano-marxista Ernesto de Martino il libro antropologico- strutturale di Theeodor Reik da me tradotto» (p. 49)1.
Franco Ferrarotti, giunto alla soglia dei novanta anni, rievoca, con passione e accoratezza, la passata e condivisa amicizia con Cesare Pavese. In un libro breve ma denso e tutto concentrato sui fatti, il sociologo vercellese racconta del suo incontro con lo scrittore di Santo Stefano Belbo, del loro rapporto di confronto produttivo e qualche volta di scontro, della loro corrispondenza e del loro ritrovarsi a ogni snodo della loro vita (fino all’interruzione brusca ma non imprevedibile legata al suicidio di Pavese). Pavese emerge come “un uomo complesso e privato”, con un interesse serrato e vibrante per la dimensione mitopoietica della vita umana, delle origini della coscienza, del senso ultimo e profondo della vita. – una dimensione astorica che urtava con i convincimenti più forti dell’ambiente culturale in cui egli vive e da cui traeva linfa. La sua fama di “eterno adolescente” affibbiatogli dalla critica letteraria italiana (in ultimo in un saggio pur importante come quello di Cesare Segre che costituisce la sua introduzione all’ultima edizione di Il mestiere di vivere2) ha continuato da sempre a perseguitarlo.
[Traduzione di José Daniel Henao Grisales ]
[QUI] potete leggere il testo italiano già pubblicato su Retroguardia.
[Per il centenario della nascita dello scrittore piemontese]
Poesías: “Laborar cansa”, “la tierra y la muerte” y “Vendrá la muerte y tendrá tus ojos” de Cesare Pavese
De Francesco Sasso.
Pavese comenzó con la cosecha de poesía “Laborar cansa” en 1936, después, 1943. Textos compuestos entre 1930 y 1935; justo cuando estaba más distante y donde se puede imaginar el hermetismo triunfante en aquellos años.
El volumen presenta una serie de poesías-relatos di Pavese, quien de frente al primer proceso macizo de industrialización de la sociedad Italiana, advierte el peligro de una marginación creciente en el rol del intelectual y sobre todo, una laceración ostensible entre el campo y la ciudad, con la consecuencia de una devastación feroz en el mundo campesino.
Da marzo sto leggendo e rileggendo il volume Le poesie di Cesare Pavese, pubblicato da Einaudi.
Pavese esordì con la raccolta di poesie Lavorare stanca (1936, poi 1943), testi composti fra il 1930 e il 1935: ed è quanto di più distante si possa immaginare dall’Ermetismo trionfante in quegli anni.
Il volume presenta una serie di poesie-racconti di Pavese che, di fronte al primo massiccio processo di industrializzazione della società italiana, avvertì il pericolo di una crescente marginalizzazione del ruolo dell’intellettuale e, soprattutto, una lacerazione in atto fra città e campagna con la conseguenza di una feroce devastazione del mondo contadino.
Tuttavia, nei luoghi della città, della fabbrica, del caffè, la poesia di Pavese s’innesta come coscienza critica della realtà. Il poeta cerca di «giungere alla natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi vergini».
Ma «la natura vera delle cose», nella società industrializzata, è la merce, lo scambio, la produzione, l’economia. Non a caso, i personaggi tipici nello scenario metropolitano della poesia di Pavese sono la prostituta, l’ubriaco, il pezzente.
Fin’anche l’amore, sembra affermare Pavese, è merce; e dalla donna angelicata (salvifica) della tradizione letteraria italiana si passa alla prostituta che non salva nessuno.
Ne Lavorare stanca il verso si distende in ampie strutture narrative e i toni sono quelli del linguaggio parlato con immissioni di elementi dialettali e gergali.
Pavese proietta i temi che animeranno la sua narrativa- l’attaccamento alla terra d’origine, il rapporto città-campagna, i miti dell’infanzia, la condizione miserabile degli emarginati e degli emigranti- sullo schermo della cultura americana (Whitman, Lee Masters) con uguali asprezze prosastiche e con lievi note liriche.
Dal 1934 al 1940 la vena poetica di Pavese si secca e nelle composizioni subentrano le figure carcerarie e la solitudine (la finestra, la stanza, la piazza deserta). Lo sguardo del poeta tenta percorsi sghembi, lontano dai luoghi di mercificazione e inautentici della città. Dalla poesia-racconto si passa alla poesia-simbolo. La «natura vera delle cose» non è più la merce ma la morte.
Le altre raccolte, La terra e la morte (1945) e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1950), si muovono su una vena intimistica. Abbandonando la prosodia de Lavorare stanca, il poeta recupera i senari e i settenari della tradizione lirica italiana.
Ne Verrà la morte e avrà i tuoi occhi l’occasione è data dall’infelice amore del poeta per la Dawling.
Tema centrale dell’opera è l’identità Eros-Thanatos (amore-morte) non declinato come esercizio letterario, ma come tragico nucleo esistenziale che sarà poi risolto, ahimè, dal suicidio del poeta.
Quelle ne Verrà la morte e avrà i tuoi occhi sono liriche in cui il poeta si pone di fronte all’estasi e al mistero angoscioso dell’amore e del proprio destino ultimo: la morte.
f.s.