SPECIALE GUIDO MORSELLI: Fabio Pierangeli, “Dante a Margine e le interrogazioni di Guido Morselli”

Fabio Pierangeli, Dante a Margine e le interrogazioni di Guido Morselli, Mimesis 2023, pp.162, € 16,00


di Francesco Sasso

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Guido Morselli visse una vita costretta al soliloquio con se stesso. Fu un esercizio, questo, in cui egli scorse le ragioni della propria solitudine, l’assurdità e l’ingiustizia, la sofferenza e il rumore del mondo.

In realtà, Morselli tentò di instaurare un rapporto di comunicazione con gli uomini e di partecipare al dibattito intellettuale dell’epoca. Quest’ansia comunicativa, molto spesso frustrata, si riverberò nei tanti suoi protagonisti scrittori, giornalisti o uomini che scrivono per una causa (ad esempio il deputato Ferranini in Il comunista). Una ricerca continua di partecipazione e di confronto con il pubblico, ostacolate da incomprensione e, forse, da quel Caso così tante volte tirato in ballo nei romanzi morselliani.

Guido Morselli fu anche scrittore-filosofo nel senso di moralista che a quel termine dettero gli intellettuali dell’Illuminismo francese. Profondo e versatile, non gli mancò il demone speculativo e letterario. Fu anche filologo dilettante, lesse e postillò la Commedia e la Vita Nuova. Di ciò da conto il professore Fabio Pierangeli in Dante a Margine e le interrogazioni di Guido Morselli (Mimesis, 2023).

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In balia di Dante e Pinocchio

Stefano Jossa e Luciano Curreri, In balìa di Dante e Pinocchio. Seguito da: Il viaggio di Pinocchio nell’aldilà dantesco di Bettino d’Aloja, Ediz. illustrata da Fabio Magnasciutti, Mauvais Livres, 2022, 4 voll., 180 pp., € 35,00


di Luigi Preziosi

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Esce presso la giovane e coraggiosa editrice Mauvais livres un pregevole cofanetto, composto di quattro piccoli libri il cui insieme viene sintetizzato nel titolo In balia di Dante e Pinocchio. Al più corposo dei quattro hanno posto mano Stefano Jossa, docente all’Università di Palermo, a cui si deve la prefazione A braccetto, e Luciano Curreri, ordinario di Lingua e letteratura italiane presso l’Università di Liegi, autore della postfazione Un’altra idea di Dante a partire da Pinocchio?

La particolarità di questa edizione consiste nell’affiancare ai due saggi i tre albi, Pinocchio all’inferno, Pinocchio nel Purgatorio, Pinocchio nel Paradiso, che compongono Il viaggio di Pinocchio nell’aldilà dantesco di Bettino D’Aloja, originariamente uscito negli anni Venti presso la casa editrice fiorentina Nerbini. Questo particolare assemblaggio consiglia agli autori la gustosa nota finale, in cui si insiste sul carattere “dadaista” del libro, “perché vorrebbe essere per ragazzi, per adulti, per accademici, per amanti del pop, per innamorati di Dante, Pinocchio e dell’Italia, per curiosi e per oppositori,… perché potete farne quello che volete: scorporarlo in due, o anche in quattro libri, godervi le illustrazioni… e ignorare il testo in tutto o in parte (di chiunque), o viceversa, fare entrambe le cose in tutte le combinazioni possibili….”.

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“Dante, l’italiano” a cura di Giovanna Frosini e Giuseppe Polimeni

In occasione della XXI Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, che si terrà dal 18 al 24 ottobre 2021, verrà diffuso gratuitamente in formato elettronico il libro Dante, l’italiano, edito dall’Accademia della Crusca e goWare e curato da Giovanna Frosini e Giuseppe Polimeni.

L’ebook e il libro a stampa sono realizzati e distribuiti sui più importanti canali digitali dalla casa editrice fiorentina goWare attraverso le piattaforme internazionali: Apple iBookstore, Amazon Kindle Store, Google Play Libri e molte altre librerie italiane e internazionali.

QUI per scaricare l’e-book.

La distribuzione dell’ebook sarà gratuita durante la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo (18 – 24 ottobre 2021) e solo in seguito a pagamento.

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Per un Dante dappertutto e fuori posto, encore que… Saggio di Luciano Curreri

L’Accademia delle Scienze di Torino, in collaborazione con l’Università degli Studi, il Museo Nazionale del Cinema, la Bibliomediateca RAI-Centro Documentazione «Dino Villani» e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino sono all’origine di una rassegna di iniziative dantesche, intitolata Luce nova. Dante al cinema, che animerà il capoluogo piemontese sino alla fine del 2021.

Il venerdì 8 ottobre 2021, alle ore 17.00, all’Accademia delle Scienze di Torino, il Presidente della stessa, il Prof. Massimo MORI, e il dott. Sergio TOFFETTI, curatori delle iniziative, salutano e presentano la rassegna con:

Prof. Alessandro BARBERO (UPO, sede di Vercelli) che introduce due conferenze di:

– Prof. Luciano CURRERI (ULIEGE), Per un Dante dappertutto e fuori posto, encore que

Prof. Silvio ALOVISIO (UNITO), Il cinema all’inferno.

Qui sotto potete leggere l’intervento di Luciano Curreri, che risponde sostanzialmente alla sua parte di introduzione (paragrafi I-VII, note 1-30) per il dossier monografico, co-diretto da Curreri con Simone Starace, “E allor fu la mia vista più viva”. Il lungo Novecento di Dante al cinema e alla televisione*, di “Immagine – Note di storia del cinema”, n. 24, la cui uscita è prevista a fine 2021.

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LETTI QUASI PER CASO, SCRIBACCHIATI PER UNA QUALCHE NECESSITÀ: Filippo La Porta, “Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro”

Rubrica senza cadenza e scadenza ovvero Fustino letterario di Lucio Lontano*.

L’idea di questa rubrica birichina sta nel titolo e sottotitolo della stessa, che non necessitano di ulteriori spiegazioni, a nostro avviso. L’unica cosa che val forse la pena precisare è che si è pensato di far leggere lo scarabocchio – prima ancora che venga pubblicato – all’autore del libro da cui si parte, dando a quest’ultimo la possibilità di aggiungere, in coda, anche solo qualche riga, una parola, un’ipotesi di dialogo.

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A partire da: Filippo La Porta, Come un raggio nell’acqua. Dante e la relazione con l’altro, Salerno Editrice («Piccoli Saggi», 75), Roma (febbraio) 2021, 144 pp., 16 euro.

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di Lucio Lontano*

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L’ultimo saggio pubblicato da Filippo La Porta è una laica preghiera critica ed è l’opera di un pensatore, libero e metodico a un tempo, ancorato, come tutte e tutti noi, a una «generazione», a una storia (e Storia), ma senza pregiudiziali forti di natura ideologica né accademica. Certo, lo dice che è della sua generazione ma non lo fa pesare, almeno non qui, e anzi chiede scusa quando si fa prendere la mano da qualche digressione. Una, molto bella, tra le altre, tutte felici, è quella «cinematografica», raccolta in due dense pagine in cui l’Empireo di Dante è accostato a Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick: l’idea che la sottende è la sospensione della comprensione a tutti i costi, ovvero di quell’esorcismo del «giudizio» che la stessa vuole proporre a ogni verso, a ogni fotogramma, come se non potesse farne a meno. Si consiglia la lettura, la visione di un dormeur évéillé che rispetti e salvaguardi una «traccia di esperienza conoscitiva» resa libera dalla cultura tutta. E si cerca quindi di far capire che la letteratura – pure quella che ci appare più lontana – ha conquistato libertà non solo per fini didattici o estetici ma per trasmettercene il DNA, finanche attraverso le rivisitazioni che altre arti ne hanno fatto lungo i secoli e fino ai nostri giorni. Se la intendiamo davvero come tale, la letteratura, forse possiamo ancora essere liberi, anche noi, anche oggi, e dirci davvero tali, senza far pagare dazio all’alterità di una rappresentazione che ci sfugge e che soprattutto sfugge a quel «nostro io, infaticabile e indispensabile artefice, impegnato a praticare il bene full time», ovvero anche procedendo per paradigmi etico-conoscitivi coatti, predicanti l’obbedienza.

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“Tre note dantesche” di Alberto Casadei

di Alberto Casadei 

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In queste tre Note si propone innanzitutto di identificare con Saturno il “pianeto” menzionato in Io son venuto…, v. 7, sulla base di nuovi riscontri. Si conferma poi il perfetto parallelismo tra “uccella” e “caccia”, da intendersi come verbi, in Tre donne…, vv. 101 s.: anche da ciò derivano alcune conseguenze riguardo all’interpretazione complessiva della canzone (e, in parte, alla sua cronologia). Infine, si evidenzia che l’ordinamento delle quindici canzoni distese potrebbe non essere originale bensì risalente a una sistemazione degli anni Trenta del XIV secolo, probabilmente complessa e stratificata.

Qui puoi scaricare il saggio di Alberto Casadei

L’ALIGHIERI. Rassegna dantesca

L’ALIGHIERI (ISSN 0516-6551)
Rivista ANVUR in fascia A
Blind peer review

Direzione: Saverio Bellomo, Stefano Carrai, Giuseppe Ledda.
Comitato scientifico: Albert R. Ascoli, Zygmunt G. Baranski, Johannes Bartuschat, Lucia Battaglia Ricci, Sergio Cristaldi, Simon A. Gilson, Giorgio Inglese, Ronald L. Martinez, Lino Pertile, Jeffrey T. Schnapp, Luigi Scorrano, John Scott, Claudia Villa

Rivista pubblicata da A. Longo Editore

Qui il numero 54, Nuova Serie luglio-dicembre 2019 anno LX

GLOSSA n.3: Salvare gli esseri umani dallo stato di miseria…

Glossa 3

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a cura di Francesco Sasso

Nell’epistola XIII, scritta per accompagnare l’invio e la dedica del Paradiso a Cangrande della Scala, Dante spiega che il fine del poema è “removere viventes in hac vida de statu miserie et perducere ad statum felicitatis” (salvare gli esseri umani dallo stato di miseria e condurli alla felicità). Credo che sia una delle più belle definizioni di letteratura.

Fin dal principio, la complessità del materiale dottrinale e storico della Commedia dantesca determinarono l’esigenza di spiegare e commentare l’opera. Alcuni commenti del Trecento e Quattrocento sono in latino, ma mi stupisce il lavoro del frate minore Giovanni Bertoldi da Serravalle, il quale si spese molto nel commento e nella traduzione latina della Commedia. Un chiaro esempio di lavoro smisurato, ma inutile. Ecco un libro che non leggerò mai.

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GLOSSA n.1

GLOSSA 1

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a cura di Francesco Sasso

– Evocare tempi migliori in un momento di sofferenza malinconica. Questa idea conta illustri precedenti, dal Boezio di De Consolatione Philosophiae e dall’Ovidio delle Epistulae ex Ponto al Dante di Inferno V.

– Nel Medioevo la letteratura era inserita in un orizzonte che permetteva di collegare i classici antichi con autori contemporanei senza filtri storici. Per loro non esisteva nemmeno il concetto di “classico”, che si fisserà soltanto a partire dal XVI.

– La nascita delle “universitas” tra il XII e il XIII secolo, porta un dato rivoluzionario rispetto alle concezioni medievali del lavoro intellettuale: l’insegnante universitario riceve una paga e si forma una nuova opinione circa il prestigio e l’utilità sociale dell’uomo di cultura. Si insinua la nozione che il lavoro culturale deve essere remunerato in denaro. San Bernardo polemizza aspramente contro questa moderna venalità della scienza, che per lui, essendo un dono di Dio, non può essere venduta e, quindi, non è collegata a finalità materiali ed economiche. Quanti San Bernardo oggi propongono lavori culturali gratis e dicono… “tanto a te non costa nulla”

– È significativo, o forse no, che la storia della letteratura italiana si inaugura con l’intervento casuale di un ignoto copista veronese che accenna al proprio lavoro a margine di un’orazione mozarabico (Indovinello veronese scoperto nel 1924 da Luigi Schiaparelli alla Biblioteca Capitolare di Verona).

Altresì, il primo vero documento ufficiale della lingua italiana è il Placito capuano, una testimonianza inserita in un documento giuridico del 960. Insomma, ad oggi, per ciò che ci è dato sapere, un religioso che scrive facezie e una testimonianza giuridica sono alla base della nostra storia letteraria.

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ESERCIZI DI LETTURA n. 5: “Il pane che si porta in carcere”. Dante nella poesia di Osip Mandel’stam

Il pane che si porta in carcere”. Dante nella poesia di Osip Mandel’stam

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di Francesca Vennarucci

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Come accade che un ebreo polacco, stretto nella morsa della Russia staliniana, sviluppi una autentica passione per Dante, inizi a studiare l’italiano per leggerlo in lingua originale e, anch’egli poeta, lo elegga a sua guida, a suo nutrimento? Perché? Cosa rappresenta Dante per Osip Mandel’stam? Attraverso il dialogo con Dante, Mandel’stam intesse una fitto colloquio con altri grandi poeti europei che nella vita e nell’opera dell’esule fiorentino cercarono una chiave per comprendere se stessi e i drammatici eventi storici novecenteschi: Eliot e Pound, ma anche Montale e Seamus Heaney. Sappiamo che Mandel’stam, quando iniziò a temere di venire arrestato, portava sempre con sé un’edizione tascabile della Commedia: non poteva tollerare l’idea del carcere senza Dante…e sappiamo anche che la sua ultima raccolta poetica ci è giunta perché la moglie Nadezda aveva imparato a memoria tutti i testi. L’esilio, il pane altrui che sa di sale, le scale da scendere e salire per chiedere aiuto e protezione, ma anche la sublime libertà del cielo, di uno sguardo che oltrepassa il visibile… È la storia di una amicizia, di un intimo colloquio, che, come tutti i veri profondi legami, aiuta a conoscersi e a trovare il proprio posto nel mondo.

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La vicenda delle spoglie di Dante

di Siro A. Chimenz

[…] Le ossa, poi, non ebbero sorte migliore del sacello: una vicenda romanzesca, non del tutto chiara. Più volte (1396, 1428, 1476) Firenze le aveva richieste a Ravenna; invano. E quando finalmente, essendo Ravenna tornata sotto il governo pontificio, i Fiorentini ottennero dal papa loro concittadino, Leone X, nel 1519, il consenso alla traslazione di esse (e nella supplica al papa, Michelangelo, oltre a sottoscriversi, si offerse “al divin poeta fare sepoltura sua chondecente e in locho onorevole” in Firenze), i messi inviati a rilevarle trovarono il sepolcro vuoto. E vuoto fu trovato anche nella verifica fatta nella solenne inaugurazione del mausoleo dopo i lavori del 1780, come risulta da testimonianze certe, sebbene la relazione ufficiale allora redatta si esprimesse ambiguamente in modo da nascondere al pubblico la verità. Finalmente, nel 1865, nell’abbattere un tratto di muro prossimo alla cappella detta di Braccioforte, fu trovata una cassetta dì legno, sul cui coperchio era scritto “Dantis ossa a me Fra Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris”, e sul fondo “Dantis ossa a me denuper revisa die 3 junii 1677”. Fu allora aperta ufficialmente l’arca, nella quale non furono trovate se non “tre piccole falangi, che si riscontrarono appartenere allo scheletro della cassetta”; e nel lato postico superiore dell’arca fu scoperto un foro attraverso il quale si conchiuse “che benissimo si erano potute estrarre le ossa racchiuse, compreso il cranio” (Sulla scoperta delle ossa di Dante, Relazione con documenti, per cura del municipio di Ravenna, Ravenna 1870).

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Dal microcosmo fiorentino al macrocosmo della Commedia. Massimo Mori, flâneur nella città di Dante a 750 anni dalla nascita del Poeta

moriDal microcosmo fiorentino al macrocosmo della Commedia. Massimo Mori, flâneur nella città di Dante a 750 anni dalla nascita del Poeta.

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di Stefano Lanuzza

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Firenze capitale dell’Italia negli anni 1865-1871 – la ‘capitale involontaria’ per la quale si abbattono il centro antico e le mura del Trecento –, tra le città più visitate e ammirate d’Italia, è nota nel mondo anche per avere dato i natali nel 1265 a Dante Alighieri: colui che, presumibilmente nel 1307, inizia a scrivere quella Commedia dove si concentra la grande cultura del Medio Evo e si pongono le basi d’una lingua italiana stabile e dall’ortografia fino ad oggi immutata… Ci voleva il guelfo e poi ghibellino Dante perché la parola italiana cessasse di essere un dialetto del latino e diventasse lingua d’una nazione.
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UNA PASSIONE LUNGA TUTTA LA VITA. Per Vittorio Vettori studioso e poeta (Parte I). Saggio di Giuseppe Panella

[Immagine: Carlo Carrà, Le figlie di Loth (1919)]

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di Giuseppe Panella

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«Non so se tra roccie il tuo pallido / Viso m’apparve, o sorriso / Di lontananze ignote / Fosti, la china eburnea / Fronte fulgente o giovine / Suora de la Gioconda: / O delle primavere / Spente, per i suoi mitici pallori / O Regina o Regina adolescente: / Ma per il tuo ignoto poema / Di voluttà e di dolore / Musica fanciulla esangue, / Segnato di linea di sangue / Nel cerchio delle labbra sinuose, / Regina de la melodia: / Ma per il vergine capo / Reclino, io poeta notturno / Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo, / Io per il tuo dolce mistero / Io per il tuo divenir taciturno / Non so se la fiamma pallida / Fu dei capelli il vivente / Segno del suo pallore, / Non so se fu un dolce vapore, / Dolce sul mio dolore, / Sorriso di un volto notturno: / Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti / E l’immobilità dei firmamenti / E i gonfii rivi che vanno piangenti / E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti / E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti / E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera»

(Dino Campana, La Chimera)

1. Un filosofare pallido e assorto

La produzione culturale (letteraria, poetica, filosofica, storico-politica, storico-artistica, finanche utopistica) di Vittorio Vettori è stata sterminata. Analizzare tutte le opere da lui prodotte nei più svariati campi del sapere umanistico è probabilmente impossibile per ora. Anche chi si è posto il compito improbo e meritorio di antologizzare le sue opere più significative non ha potuto che selezionare proficuamente i suoi testi più noti e probabilmente più duraturi. Di se stesso Vettori avrebbe scritto per interposto personaggio in un romanzo, L’amico del Machia, che forse avrebbe meritato maggior fortuna sia critica che di lettori avvertiti (1):

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“La metafora nel Medioevo latino” di Umberto Eco

La metafora è il più importante dei tropi, ovvero l’elemento più tipico del linguaggio poetico. Ma la metafora abbonda anche nella lingua quotidiana, tanto che alcune metafore sono divenute consuete. Vi segnalo quindi il saggio La metafora nel Medioevo latino di Umberto Eco pubblicato dalla rivista Doctor Virtualis, No 3 (2004).

Abstract

La metafora nella tradizione retorica medievale. Filosofia, teologia e limiti del discorso metaforico. Metafora, allegoria e simbolismo. Tommaso, Dante e lo pseudo Dionigi

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Eco, U. (2008). 3. La metafora nel Medioevo latino. Doctor Virtualis, 0(3). Recuperato 2009-12-19, da http://riviste.unimi.it/index.php/DoctorVirtualis/article/view/51/79

 

f.s.

PER UN’ INTERPRETAZIONE LAICA DELL’ULISSE DANTESCO. Saggio di Bernardo Puleio

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di Bernardo Puleio 

 

Presso Malebolge,  nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno dantesco, si presenta una fiamma  biforcuta, che racchiude le anime di Ulisse e Diomede. Come spiega Virgilio(1):

[…] Là dentro si martira/ Ulisse e Diomede, e così insieme/ a la vendetta vanno come a l’ira;/ e dentro da la lor fiamma si geme/ l’agguato del caval che fè la porta/ onde uscì de’ Romani il gentil seme./ Piangevisi entro l’arte per che, morta,/ Deidamìa ancor si duol d’Achille,/ e del Palladio pena vi si porta.

L’incontro con Ulisse (2) « lo maggior corno de la fiamma antica » caratterizza, connotandolo di forti, eroiche e trasgressive suggestioni, il canto XXVI dell’Inferno.

L’eroe omerico espia la colpa dell’« agguato » del cavallo di Troia, che pure reca in sé, nell’ideologia dantesca, un elemento di provvidenzialità divina: la distruzione di Troia apre la porta, attraverso le pellegrinazioni di Enea, alla nascita del « gentil seme » dei Romani, il cui impero è voluto e prescelto da Dio (3).

L’arte di Ulisse appare colpa meritevole di dannazione ed emendazione eterna: forzare i segni della realtà (4) è un’opera di grave mistificazione, una specie di audacia sofistica, in grado di confondere ed occultare la ricerca della verità.

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Vida Nueva de Dante Alighieri

[Traduzione di José Daniel Henao Grisales ]

[QUI] potete leggere il testo italiano già pubblicato su Retroguardia.

Vida Nueva de Dante

De Francesco Sasso

La obra ha sido compuesta una vez ha muerto Beatriz. En ella el poeta recoge veinticuatro sonetos, cuatro canciones, una estancia y una balada. Las ha reunido con una prosa antes que nada directa, para explicar las circunstancias y los estados de ánimo, de aquel cuyas rimas habían nacido y nos dan la tierna historia de su amor por Beatriz.

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F. De Sanctis: La dissoluzione delle forme nella Divina Commedia

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amanuense-web: trascrivo da F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Totino, Einaudi, 1958, vol 1, p.201. (f.s.)

[…] Il concetto dantesco, lo spirito che alita per entro al suo mondo, è dunque la progressiva dissoluzione delle forme, un costante salire di carne a spirito, l’emancipazione della materia e del senso mediante l’espiazione e il dolore, la collisione tra il satanico e il divino, l’inferno e il paradiso, posta e sciolta. Omero trasporta gli dèi in terra e li materializza; Dante trasporta gli uomini nell’altro mondo e li spiritualizza. La materia vi è parvenza; lo spirito solo è; gli uomini sono ombre; i fatti umani si riproducono come fantasmi innanzi alla memoria; la terra stessa è una rimembranza che ti fluttua avanti come una visione; il reale, il presente è l’infinito spirito; tutto l’altro è “vanità che par persona”. Questo assottigliamento è progressivo: il velo si fa sempre più trasparente. L’Inferno è la sede della materia, il dominio della carne e del peccato; il terreno vi è non solo in rimembranza, ma in presenza; la pena non modifica i caratteri e le passioni; il peccato, il terrestre si continua nell’altro mondo e s’immobilizza in quelle anime incapaci di pentimento: peccato eterno, pena eterna. Nel Purgatorio cessano le tenebre e ricomparisce il sole, la luce dell’intelletto, lo spirito; il terreno è rimembranza penosa che il penitente si studia di cacciar via, e lo spirito sciogliendosi dal corporeo si avvia al compiuto possesso di sè, alla salvazione. Nel Paradiso l’umana persona scomparisce, e tutte le forme si sciolgono ed alzano nella luce; più si va su, e più questa gloriosa trasfigurazione s’idealizza, insino a che al cospetto di Dio, dell’assoluto spirito, la forma vanisce e non rimane che il sentimento: […]

Vita Nuova di Dante Alighieri

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(con disgressione: dall’adolescenza a Ligabue) 

Ho letto ben due volte la Vita Nuova di Dante: la prima per motivi di studio all’università, la seconda per puro piacere personale.

L’opera è stata composta subito dopo la morte di Beatrice. In essa il poeta raccolse ventiquattro sonetti, quattro canzoni, una stanza e una ballata, le collegò con prose più che altro dirette a spiegare le circostanze e gli stati d’animo da cui quelle rime erano nate e ci diede così la tenera storia del suo amore per Beatrice.

Ci dice che non aveva ancora nove anni quando, vedendola per la prima volta, si sentì dominato da Amore; nove anni dopo la vide passare per via e tutto trepidante ne ricevette un virtuoso cenno di saluto. D’allora in poi tutta la sua gioia fu in quel saluto che lo inebria e lo solleva al più alto grado di felicità; non voleva però che gli altri lo intuissero, perciò fingeva di sospirare per altre donne, che gli facevano da <<schermo de la veritade>> (tra parentesi, chi di voi, adolescente, non ha mai usato un’uguale tattica in amore?).
E tanto insiste nel corteggiamento ad una di esse (altra digressione: secondo me a Dante non dispiaceva poi tanto far finta di interessarsi ad altre donne), che voci pettegole si levarono contro di lui infamandolo come persona sensuale, dedica ai facili amori.
Giungono codeste chiacchiere a Beatrice che lo priva del saluto: il dolore del poeta fu terribile, non osò più rivolgere a lei i suoi versi, ma, indirizzandosi alle donne gentili, incominciò a tessere le più alte lodi di lei, trasfigurata già in creatura celeste: i famosi sonetti Tanto gentile e Vede perfettamente sono frutto di questa nuova poesia, originale e perfetta, quale nessun stilnovista aveva composto.

Naturalmente non vi racconto tutta la storia, ché non desidero togliere al lettore il gusto della scoperta dell’opera dantesca (per esempio, le pagine in cui Dante sta per svenire davanti a Beatrice e si appoggia alla parete, tale è l’emozione, ma ella, incredula della sua sincerità, ride, con le altre donne, di lui. E’ l’episodio del <<gabbo>>, una tristezza da non ridire).

Ammalatosi, Dante si fermò sempre più sul pensiero della fragilità umana e fu preso dall’angoscioso presentimento della morte di Beatrice: ciò avvenne realmente poco dopo e riempì di lutto non solo il poeta, ma tutta la città. Mentre così egli si consumava nel dolore, lo vide Donna gentile, che cercò di consolarlo (e qui io vi rinvio alla canzone di Ligabue Certe notti: “Certe notti c’hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà”): già il poeta si sentiva attratto da un sentimento nuovo per la fanciulla, quando TAC Beatrice, apparendogli in sogno così come egli l’aveva vista il giorno in cui se ne  era perdutamente innamorato, gli fece sentire che nulla avrebbe mai spento in lui il suo ricordo e promettere di non parlare più di quella <<benedetta>> finché non avesse potuto <<più degnamente trattare di lei>>.

Le solennità quasi religiosa del racconto, il mistico rapimento del poeta, la contemplazione della donna divenuta creatura terrestre, l’uso della visione (Rimbauld deve ancor nascere), l’indeterminatezza con cui sono volutamente indicati persone e luoghi e che trasporta il lettore in un mondo di sogno, tutto il pathos dell’opera insomma e specialmente quella solenne promessa finale sono il vero e più degno annuncio della Divina Commedia.

Spesso anche le pagine di prosa non sono meno spirituali, assorte e malinconiche, delle liriche; e se risentono certamente delle dottrine filosofiche e retoriche, hanno però accenti notevolmente personali, forse perché furono composte tutte insieme con un disegno prestabilito, probabilmente nel 1290, quando il poeta decise di riunire in un’opera organica la sua storia d’amore.

Queste, le prose, assolvono anche la funzione di raccordare nell’economia narrativa le varie liriche fra loro, affinché nessuna di esse risulti l’espressione di un momento irrelato e tutte concorrano all’organicità della vicenda. Insomma, caro lettore, possiamo leggere la Vita Nuova anche come un romanzo d’amore. Nacque da questa operazione il primo modello di prosa d’arte, in senso moderno, della nostra letteratura.

f.s.

Poesia realistica e sensuale (‘200)

In questo spazio elettronico abbiamo già accennato al Dolce stil novo, cioè la lirica del duecento che vide nell’amore l’essenza della perfezione morale umana e della donna colei che influisce beneficamente sull’uomo, ispirandogli i sentimenti più puri ed elevati che lo conducono a Dio.

E’ però naturale che i poeti di questo periodo trovassero motivo di poesia non solo dall’amore, ma anche dai vari fatti della vita quotidiana: quindi accanto alla poesia idealistica dello Stil novo meritano un cenno quella realistica e quella sensuale, anche se poco studiata sui banchi di scuola e da alcuni ritenuta di non molto valore.

Già il Guinizelli aveva scritto un sonetto di scherno contro una vecchia rabbiosa, il Cavalcanti si era trattenuto a vagheggiare più che la donna amata altre figure femminili o a profilare scherzosamente la caricatura di una gobetta, Lapo Gianni aveva sognato una vita lieta su una terra piena di gioie, Cino da Pistoia di saziare un’ora di ribellione con distruzioni e colpi di spada e Dante stesso, dopo di loro, indulgerà a rime sensuali.

Coltivarono particolarmente questo genere di poesie il fiorentino Rustico di Filippo, il senese, Cecco Angiolieri e Folgore da San Gemignano. Il primo è famoso per i suoi sonetti di caricatura, l’ultimo per aver scritto, in una collana di quattordici sonetti, le gaie occupazioni e i divertimenti, nelle varie stagioni, di una lieta brigata di giovani.

f.s.