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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Rassegna bibliografica montaliana (2005-2010) a cura di Vinicio Pacca, “Nuova Rivista di Letteratura Italiana”, XII (2009), 1, pp. 289-99.
La bibliografia montaliana sta conoscendo da tempo, almeno dal centenario del 1996, una crescita impetuosa che la rende sempre più difficile da gestire: gli studiosi rischiano quasi di perdersi in mezzo a tanta abbondanza di studi. La menzione d’apertura spetta dunque a Paolo Senna, che già in due riprese ha tentato di fare il punto, offrendo indicazioni ragionate ma allo stesso tempo dando un panorama il più possibile esaustivo: Linee per una rassegna montaliana (1999-2004). Con appendice bibliografica, «Testo», n.s., XXVI, 50 (2005), pp. 109-37 e Rassegna montaliana. Aggiornamento (2005-2006), «Testo», n.s., XXVIII, 54 (2007), pp. 121-43, prime due puntate di quello che promette di essere un appuntamento biennale.
[Fino al 30 agosto RETROGUARDIA è in vacanza. In questo periodo segnaleremo articoli apparsi in rete, podcast, playlist e qualche articolo a sorpresa. Vi ricordiamo il nuovo indirizzo https://retroguardia.net/ . Grazie a tutte le nostre lettrici e ai nostri lettori e buone vacanze!]
“L’esile punta di grimaldello…”: Montale e la tradizione. Saggio di Alberto Casadei
Articolo pubblicato in “Studi novecenteschi”, XXXV, 76 (2008)
Se osassi sperare che è ancora possibile épater les critiques, esordirei dicendo che Montale è uno scrittore senza classici. L’affermazione contiene un quantum di paradossalità di cui sono consapevole, ma, come tutti i paradossi, può anche contenere una verità di secondo grado. Infatti se il percorso poetico montaliano è andato, nella sua prima e fondamentale stagione, a riconquistare progressivamente un rapporto con i nostri classici assoluti, Dante e Petrarca, è vero che quello critico-interpretativo (senz’altro distinto ma non del tutto separato dal primo) si è quasi sempre tenuto lontano dalle riletture di questi e di altri grandi, compresi autori essenziali per la lirica di Montale stesso, come Foscolo e Leopardi. […]
1) Massimo Colella, Cartografia del contemporaneo. Lettura di “Con testo a fronte” di Paolo Volponi (1986), in “Rivista di Studi Italiani” (Toronto), XXXVII, 2, 2019, pp. 177-207.
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2) G. CANDELA, «Come un essenziale alfabeto». L’influenza della musica nell’opera di Eugenio Montale
Questo scritto si articola in due momenti fondamentali che si concentrano in altrettanti aspetti del percorso poetico e critico dell’opera di un poeta centrale nella storia della letteratura non solo italiana, ma anche europea del secolo scorso, Eugenio Montale. Montale e la sua opera sono infatti al centro della riflessione novecentesca sulla poesia e sarà intenzione di questo scritto mettere in risalto quegli aspetti che legano il poeta italiano alle tradizioni letterarie e culturali esterne all’ambito puramente nazionale, come nel caso dell’interesse per la storia della musica e l’attenzione agli sviluppi contemporanei di questa o la ripresa di tematiche e forme poetiche della letteratura straniera, soprattutto anglosassone. La prima parte di questo scritto riguarderà principalemente la prima produzione poetica di Eugenio Montale, dalle poesie giovanili fino ad Ossi di Seppia, tenendo conto del lavoro di eminenti critici sullo stesso argomento. Qui si cercherà di dimostrare le affinità che legano il nostro poeta alle molteplici espressioni della cultura europea fin de siècle e in particolar modo alla musica di Claude Debussy, nei temi, nei motivi e nelle soluzioni espressive del reciproco linguaggio artistico. La seconda parte invece tenterà brevemente un confronto con altre voci della tradizione musicale del Novecento, alla luce delle profonde conoscenze e degli interessi teorici di Montale che emergono nei suoi scritti di critica culturale e musicale.
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3) Gian Paolo Renello, Machinae. Studi sulla poetica di Nanni Balestrini
La verità impronunciabile. Il silenzio della letteratura
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di Francesca Vennarucci
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Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. […]
[…] Ahi, per la via
odo non lunge il solitario canto
dell’artigian, che riede a tarda notte,
dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
e fieramente mi si stringe il core,
a pensar come tutto al mondo passa,
e quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
il dì festivo, e al festivo il giorno
volgar succede, e se ne porta il tempo
ogni umano accidente. Or dov’è il suono
di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido
de’ nostri avi famosi, e il grande impero
di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
il mondo, e più di lor non si ragiona.
[…]
(da La sera del dì di festa, di Giacomo Leopardi)
Dopo una giornata di festa, animata da suoni, grida, fragori, solo il canto dell’artigiano che torna a casa squarcia la profondissima quiete della notte. La coltre del silenzio già posa, densa e tangibile, sopra i campi e in mezzo agli orti, avvolge le cose nell’oblio, cancella le voci del giorno respingendole in una dimensione irreale, dolorosa. Solo il canto notturno che a poco a poco si allontana ripopola il silenzio di voci, di grida, ma è un attimo: la luce uniforme e silenziosa della luna riprende a posare su tutto il mondo, lasciando lo sguardo dell’osservatore a vagare lontano e il suo animo in subbuglio. E’ possibile notare immediatamente come la costruzione di questa poesia poggi su un’opposizione dialettica: nel silenzio della notte apparentemente quieta, inondata dalla chiarezza lunare, il canto dell’artigiano ha il potere di evocare, non solo le voci del giorno appena trascorso, ma tutte le voci del mondo, le voci di un passato rumorosissimo eppure inghiottito dal silenzio del Tempo.
Glosse per Sereni, tra rêverie e racconto
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di Domenico Carosso
Nelle primissime pagine della sua prefazione alle Poesie di Sereni, Dante Isella precisa di essersi trovato, accingendosi al proprio lavoro, di fronte a «manoscritti labilissimi, con un carico di potenziali sviluppi che andavano in tutte le direzioni, con una visione fluida del mondo, che nella sua incessante deformazione, in senso etimologico, ha più lo statuto del sogno che della realtà»1.
Tale statuto è poi rinforzato, se così posso dire, dalla frequente, ossessiva presenza, nei versi per esempio degli Strumenti umani, ma non solo qui, dei luoghi retorici, nel senso alto, dell’iterazione o ripetizione e della specularità. Quasi che la poesia costituisse lo specchio mobile, in perenne dislocazione, di una realtà a sua volta imprendibile, multipla, in ogni caso (in ogni verso) non dicibile univocamente.
Continua a leggere ““Glosse per Sereni, tra rêverie e racconto”. Saggio di Domenico Carosso”
[QUI] potete leggere il testo italiano già pubblicato su Retroguardia.
Hojas de Sepia de Eugenio Montale
De Francesco Sasso
Huesos de Sepia es la primera cosecha Montaliana, aparecida en el 1925 y enriquecida después en la edición de 1928.
Los Huesos de Sepia diseñan la vicisitud de un cuadro existencial y gnoseológico, la doliente pizca del acto de una radical potencia expresiva; de una imposibilidad de la palabra poética; de la significación de la esencia del mundo y de la vida. Y sin embargo ilustra también la desesperada búsqueda de una identidad y su desastroso éxito.
No vale en realidad que el sujeto haga cosas entre las cosas, “Astilla fuera del tiempo”, residuo expulsado del flujo del devenir, inmune de su acción aniquilada. La vacuidad de la aspiración al absoluto, la condena del sujeto a reconocer en el dominio de la caducidad el único espacio posible de su consistencia.
Así, al término de su Odisea, el yo comprende que el ser equivale al morir, y la subjetividad puede persistir sólo a precio de entregarse a un inmobilidad funeraria. Y existir quiere decir resignarse a habitar un tiempo histórico desierto de certezas y de valores; a soportar la discontinuidad de la experiencia y el desgarro atroz de un devenir sin progreso.
f.s.
[Leggi tutte le traduzioni di José Daniel Henao Grisales pubblicate su Retroguardia ]
Scrive Montale: «Che cos’è la poesia lirica? Per mio conto non saprei definire quest’araba fenice, questo mostro, quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile perché fatto di parole, questa strana convivenza della musica e della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sogno e della veglia» (1)
(1) E. MONTALE, Sulla poesia, Milano, Mondatori, 1976, p.171
Ossi di Seppia è la prima raccolta montaliana, apparsa nel 1925 e poi arricchita nell’edizione del 1928.
Gli Ossi di Seppia disegnano la vicenda di uno scacco esistenziale e gnoseologico, la dolente presa d‘atto di una radicale impotenza espressiva, della impossibilità, per la parola poetica, di significare l’essenza del mondo e della vita, ma illustrano anche la disperata ricerca di una identità e il suo fallimentare esito.
Non vale infatti al soggetto di farsi cosa fra le cose, «scheggia fuori del tempo», residuo espulso dal flusso del divenire e immune dalla sua azione annientatrice. La vacuità dell’aspirazione all’assoluto, la condanna del soggetto a riconoscere nel dominio della caducità l’unico possibile spazio della sua consistenza.
Così, al termine della sua odissea, l’io comprende che l’essere equivale al morire, e la soggettività può persistere solo a prezzo di consegnarsi a una immobilità funeraria; ed esistere vuol dire rassegnarsi ad abitare un tempo storico deserto di certezze e di valori, a sopportare la discontinuità dell’esperienza e lo squarcio atroce di un divenire senza progresso.
f.s.