SUL TAMBURO n.62: Stefano Petruccioli, “I miglioratori del mondo. Utopia e democrazia tra letteratura, fumetto, filosofia”

Stefano Petruccioli, I miglioratori del mondo. Utopia e democrazia tra letteratura, fumetto, filosofia, Bergamo, Moretti & Vitali, 2017

_____________________________

di Giuseppe Panella

.

Prima di tutto bisogna chiedersi chi siano “i miglioratori del mondo”. Sono coloro i quali aspirano, in realtà, più che a migliorarlo e a renderlo più adeguato alle esigenze umane, a cambiare il mondo in profondità, a creare un nuovo modello di Uomo, a rendere la vita perfetta e agibile per sempre e non solo per il limitato orizzonte di ogni individuo che vive nel presente. “I filosofi finora si sono limitati a interpretare il mondo, si tratta però di cambiarlo” – hanno scritto Karl Marx e Friedrich Engels nella undicesima delle loro Tesi su Feuerbach. Il fatto è che per rendere la realtà umana abitabile e gestibile per tutti, per portare la felicità sulla Terra, per permettere al mondo di essere ordinato, confortevole e compiutamente trasformato, libero dagli impacci della Storia e dalle angosce della mancanza di libertà e dell’impossibilità di sopravvivere senza stenti e sofferenze, quello stesso mondo deve essere distrutto e il nuovo sorgere sulle macerie del vecchio. Occorre distruggere il presente per organizzare il futuro, è necessario cancellare il passato per preparare in maniera adeguata l’avvenire dell’umanità. Si tratta di realizzare in modo compiuto e onorevole l’utopia che permetterà di cancellare diseguaglianza e dolore e instaurare il regno della libertà e dell’uguaglianza umana. Questo può compare perdite umane e dolore e sofferenza a chi si oppone al cambiamento o la fine di intere generazioni ed epoche della vicenda umana: c’è da pagare un prezzo di illibertà e di sopraffazione per una libertà futura mai conosciuta prima e per la felicità possibile da ottenere per tutti al costo dell’infelicità di alcuni. Ogni rivoluzione, ogni trasformazione storica, ogni cambiamento epocale comporta questo necessariamente. Ma quello che bisogna chiedersi è se questa palingenesi, questa “grande trasformazione” avverrà da davvero. I “miglioratori” miglioreranno davvero il mondo?

Continua a leggere “SUL TAMBURO n.62: Stefano Petruccioli, “I miglioratori del mondo. Utopia e democrazia tra letteratura, fumetto, filosofia””

«Come nasce un testo letterario?» o «Come è nato questo testo letterario?» (A. Asor Rosa)

Amanuense web

Di fronte alla domanda: «Come nasce un testo letterario?» o «Come è nato questo testo letterario?», lo storicismo mostra i suoi limiti metodologici. Diamo la parola ad Asor Rosa:
 
«Lo storicismo, nella sua doppia versione di storicismo idealistico e di storicismo sociologico-materialistico, non sembra in grado di dare una risposta a queste due domande, neanche quando venga riformato con l’acquisizione di una maggiore sensibilità segnino-formale: sia l’uno sia l’altro, infatti, continuano a porre fuori una risposta che viene invece significata solo quando è collocata dentro la concreta, organica struttura del testo. Anche in questo caso ci soccorre, invece, la nozione di sistema: essa, infatti, comporta bensì specificità e autonomia: ma tale specificità e autonomia non implicano che il sistema debba considerarsi chiuso e autosufficiente. Al contrario: esso nasce e continuamente si rinnova mediante la manipolazione nei propri linguaggi di un’infinità di materiali provenienti da ogni dove. Non è essenziale, anzi è piuttosto sbagliato, pensare che il letterario tragga alimento solo dal letterario: essenziale è invece seguire con estrema attenzione il percorso concreto e accidentato attraverso cui un qualsiasi elemento extraletterario si fa letterario, entrando a far parte costitutiva del sistema». (1)

Asor Rosa, critico di matrice marxista, pur con qualche riserva, sembra accogliere la sostanza del discorso semiologico.

(1) A. ASOR ROSA, Letteratura, testo, società, in Aa.Vv., Letteratura italiana, vol. I, Torino, Einaudi, 1982, p.19

f.s.

Letteratura-società (Maria Corti)

Amanuense web

Maria Corti ha dedicato una costante attenzione all’analisi delle codificazioni dei generi letterari:

 «La stessa questione dei rapporti letteratura-società- osserva la Corti- otterrà esiti più proficui se l’obiettivo dei critici sociologici sarà puntato non solo sui testi singoli, magari di grandi scrittori, ma sull’articolarsi dei generi letterari, più legati per la loro stessa realtà e per la frequentazione che ne fanno gli autori minori, al contesto socioculturale e alle sue stratificazioni» (1).

Si può capire come la letteratura sia «un campo di tensioni […] fra ciò che aspira a persistere intatto per la forza d’inerzia e ciò che avanza con impeto di rottura e di trasformazione» (2).

(1) M. CORTI, Principi della comunicazione letteraria, Milano, Bompiani, 1974, p.154
(2) Ivi, p.19

f.s.

La letteratura come squarcio nel muro della vita.

Spesso mi sorprendo mentre invoco il diritto estetico di infinto e di assoluto in arte.

Permettetemi una precisazione: non sono un filosofo e non ho letto molto a riguardo. Semplicemente, si fa per dire, ritengo che il senso più alto della tradizione letteraria, sia nella varia molteplicità e complessità che nella profondità dei suoi motivi, sia la ricerca di infinito e di assoluto.

Percepisco la letteratura come se fosse la vita con piena cognizione e partecipazione della realtà effettiva delle cose e, insieme, secondo le istanze di un’etica imperativa e categorica nelle forme del pensare e del sentire che essa richiede.

Tuttavia, so che ogni opera letteraria è propria dell’uomo e non può accogliere che ciò che è in lui. Eppure l’infinito e l’assoluto, come possibilità inesplicabile, in letteratura trova la sua più alta manifestazione. E’ l’effetto di turbamento, disvelamento e di allargamento dell’esistenza che alcune opere letterarie mi trasmettono dopo aver attraversato il Tempo. E’ la bellezza dell’opera d’arte.

sabato 12 luglio 2008

f.s.

La pratica della lettura (e della critica) secondo Alberto Asor Rosa

amanuense-web

Trascrivo una puntualizzazione di A. Asor Rosa su come si rapporti la pratica della lettura (e della critica) alle diverse idee di letteratura:

 
Se la letteratura verrà considerata come prodotto sociale, noi cercheremo in essa il predominio della rappresentatività (fedeltà, tipicità, aderenza, verosimiglianza) rispetto a un determinato contesto sociale. Se la penseremo come prodotto della storia delle idee, in essa ci sembrerà prevalente il meccanismo in base al quale l’organizzazione formale di una data ideologia produrrà (o dovrebbe produrre…) strutture testuali coerenti con la Weltanschauung dell’autore. Il convincimento che l’approccio al testo è regolato sempre da alcuni meccanismi del piacere, ci spingerà a motivare il nostro giudizio più o meno positivo sul testo in base alla formula edonistica cui c’ispiriamo. Se il meccanismo basilare della conoscenza ci sembrerà di natura psicologica , cercheremo di ricondurre l’interpretazione dei personaggi e delle azioni alle leggi generali della psiche umana, cui la letteratura evidentemente non può sottrarsi; analogamente faremo quando la struttura di base del linguaggio verrà fatta affondare nell’inconscio e nelle determinazioni che ad esso sono proprie. Chi, invece, nell’opera privilegerà il riferimento a certi comportamenti dominanti nell’ambiente umano-intellettuale circostante, darà di quell’opera una lettura antropologica. Un’opera, però, può anche essere intesa essenzialmente come sistema stilistico: la dinamica delle forme finirà in questo caso per influenzare tutto il resto, perché niente , né di psicologico né di subconscio, potrà in essa penetrare, senza essere filtrato, purgato e sistemato secondo il principio decisivo della coerenza stilistica. Essa può anche essere intesa come sistema segno-formale: lo stile, allora, non sarebbe altro che una manifestazione particolare di una più generale dimensione sistematica, dentro la quale ogni informazione contenuta nel testo letterario può essere ridotta alla forma di segno. Se poi introduciamo in questa problematica le categorie della retorica, potremmo ricondurre l’analisi del messaggio-segno letterario a una serie di regolamentazioni e di procedure fissate nel tempo con un’accuratezza, di cui l’autore finisce per apparire il semplice mediatore […]. Chi mette alla base della letteratura la storia del gusto, interpreterà la storia della letteratura come un episodio o manifestazione particolare della storia del gusto. I fautori di un’interpretazione culturale della letteratura si preoccuperanno al massimo di finalizzare la lettura del testo letterario alla ricostruzione di un profilo culturale generale del periodo storico corrispondente: a questo modello più o meno direttamente si riallacciano tutti coloro per i quali la storia della letteratura non è che un modo di scrivere ( e per scrivere) una storia della civiltà, assai spesso sotto forma di storia della civiltà  nazionali. Per altri sarà determinante l’aspetto gnoseologico della letteratura, cioè la sua capacità di conoscenza: per quanto si possa rivestire questo atteggiamento di motivazioni formali o retoriche, non c’è dubbio che in questo modo la letteratura viene ridotta a una qualche forma di attività razionale propria dell’uomo. Per altri, al contrario, la letteratura varrà soprattutto come simbolo di un qualcosa che precisamente il discorso razionale non riesce ad esprimere. (1)

(1) A. ASOR ROSA, Letteratura, testo, società, in Aa.Vv., Letteratura italiana, vol I, Torino, Einaudi, 1982, pp. 8 sgg.

f.s.

letteratura tra infinito e finito

“Come sarà il romanzo del 21° secolo?”
Di fronte a questa domanda vado in stallo, apro le braccia e dichiaro: non lo so!
Posso però affermare che il romanzo ha, e avrà sempre, un solo punto d’abisso, all’interno di uno spazio ancora più oscuro, da cui partire: l’uomo. Un uomo che è di per sé finito, ma che è chiamato ad assistere a quest’infinito universo. Per cui, ogni suo gesto è, o dovrebbe essere, pensato illimitato; altrimenti patisce, cessa di sperare quando ne percepisce o ne scorge la finitezza. Da questo conflitto nascono le innumerevoli lacerazioni dell’anima e del sogno, nasce la scrittura.
Ed è partendo dall’uomo che si prefigura nella mia mente l’immagine di un romanzo che è sempre alla ricerca di un punto fermo e atemporale della realtà. Un romanzo con sempre nuove campionature linguistiche, con cadenze mutanti, con molteplici forme e suoni. Un romanzo che cerca continuamente di spostare i confini tra natura e società. Un romanzo d’ambienti dilatati, di possibilità inevase, di necessità e libertà. Un romanzo che contamina il lettore d’inquietanti interrogativi e che lascia pensare all’esistenza di un incolmabile vuoto tra teoria e realtà. Un romanzo che rappresenta la somma delle possibilità del suo tempo, ma è anche un’accumulazione distinta di tempi intermedi e l’espressione assoluta d’atemporalità: condizione contraddittoria questa, come quella dell’uomo nell’universo. Un romanzo che ha in sé il germe del relativismo e del Mito (altra contraddizione); che mostra le cadute della “macchina” sociale che non ha più motivo d’essere, e che prospetta un’allucinante terra di nessuno in cui il lettore è costretto ad aggirarsi alla ricerca di sé. Un romanzo che, per concludere, si basa sulla Parola vera, che aspira a non essere rovesciata in falsa Parola.

f.s.