RETROTECA YouTube: http://www.youtube.com/user/retroguardia
ISCRIVITI al canale di YouTube per aiutare RETROGUARDIA a crescere.
quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
RETROTECA YouTube: http://www.youtube.com/user/retroguardia
ISCRIVITI al canale di YouTube per aiutare RETROGUARDIA a crescere.
RETROTECA YouTube: http://www.youtube.com/user/retroguardia
ISCRIVITI al canale di YouTube per aiutare RETROGUARDIA a crescere.
RETROTECA YouTube: http://www.youtube.com/user/retroguardia
ISCRIVITI al canale di YouTube per aiutare RETROGUARDIA a crescere.
L’occhio del poeta costruisce il percorso poetico. Riccardo Donati, Nella palpebra interna. Percorsi novecenteschi tra poesia e arti della visione, Firenze, Le Lettere, 2014
_____________________________
di Giuseppe Panella
.
Riccardo Donati si è sempre mosso, nello sviluppo della sua ricerca critica di studioso, tra Settecento1 e Novecento2, tra proposta originaria presente nel Secolo dei Lumi e i suoi esiti in ambito novecentesco. Tuttavia i suoi interessi predominanti concernono, in massima parte e proprio a partire dalla sua originaria analisi del Bigongiari critico d’arte, l’evoluzione della poesia italiana contemporanea e i suoi rapporti con le arti della visione.
Nella palpebra interna, infatti, rende conto di tutta una serie di importanti poeti della tradizione novecentesca italiana che si sono messi in rapporto con le arti della visione facendo oggetto della loro ricerca poetica le potenzialità ermeneutiche e liriche dello sguardo.
Per riuscire ad ottenere conclusioni non banali e in certa misura più nuove rispetto alla tradizionale analisi di questo rapporto, Donati si cimenta, in linea preliminare, con una nozione ambigua e sfuggente come quella di sguardo provandosi a darne un quadro teorico generale di riferimento.
Aldo Pardi, Vertigini. Scritture della rivoluzione, Firenze, Editrice Clinamen, p. 283, 2014
______________________________
di Silverio Zanobetti
.
Questo lavoro sul concetto-immagine di “rivoluzione” è denso, compatto, sobrio come gli ultimi lavori di Aldo Pardi. Un testo in cui ritrovo la sobrietà militante e rigorosa che già avevo trovato nei libri precedenti. Deleuze, a cui è dedicato un capitolo, parla non a caso di sperimentazione come condizione del vero pensare ed invita sempre alla sobrietà nella sperimentazione e questo testo ne è un esempio di una potenza vertiginosa.
Al di là di certe posizioni discutibili (ma ampiamente motivate) per la loro durezza (su Gramsci, ad esempio) la coerenza e il rigore teorico-politico con cui Pardi persegue la sua ricerca è evidente laddove si colga la continuità con i lavori precedenti. Ruolo essenziale tornano ad avere i concetti di “produzione” e “conflitto” che «sono la porta per arrivare a codificare un concetto di “trasformazione” capace di rendere la produzione di teoria un’esperienza di liberazione»[1].
Continua a leggere “Aldo Pardi, “Vertigini. Scritture della rivoluzione””
Esoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.
_____________________________
di Primo De Vecchis
.
I 7 pazzi e la loro cospirazione
II.6. Curzio Malaparte e l’Astrologo ‘catilinario’
Vorrei però anticipare un brano arltiano, tratto da un’acquaforte, dove si cita esplicitamente il trattatello malapartiano, per criticarne un aspetto, una teoria, ovvero per differenziarsi da esso. Il fatto che Arlt prenda le distanze è significativo. D’altronde il testo è del 1938, alla vigilia della guerra, quando lo scrittore è divenuto ormai un acerrimo nemico dei fascismi (e non più solo un parodista) e quando ormai ha approfondito la sua formazione intellettuale, soprattutto politica e marxista. Non è più l’Arlt ‘ambiguo’ del ’29 e del ’30, il divertito pasticheur dei discorsi politici che confluivano in America Latina dal laboratorio europeo. È preoccupato dalla situazione geopolitica mondiale, ove le nubi si addensano fosche all’orizzonte. Estrapolo il passo che ci interessa dall’acquaforte Los jóvenes de los tiempos viejos (I giovani dei vecchi tempi, pubblicata ne «El Mundo» il 21 settembre del 1939) dove si analizza la fascinazione subita da parte dei giovani romantici nei confronti dei condottieri sanguinari, incantatori di serpenti disposti a condurli verso il baratro. Dopo aver citato l’esempio antico di Mario e Silla e della somiglianza tra i giovani di allora e quelli di oggi, Arlt scrive:
Esoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.
_____________________________
di Primo De Vecchis
.
I 7 pazzi e la loro cospirazione
II.1. Un uomo vuoto
Dedichiamo ora brevemente attenzione alla trama, alle tematiche e allo sviluppo de Los siete locos, partendo dai dettagli testuali per elevarci a considerazioni più generali. Quest’opera si caratterizza subito per un ritmo rapido, sostenuto, incalzante: deve molto alle strutture e alle tecniche dei romanzi d’appendice dell’Ottocento. Ma poi riempie tale scheletro o meccanismo con riflessioni, analisi e fantasticherie tipicamente novecentesche che precorrono per esempio l’esistenzialismo francese (soprattutto nei primi capitoletti). I brevi titoli sono spie indicative: La sorpresa, Estados de conciencia (Stati di coscienza), El terror en la calle (Il terrore della strada), Un hombre extraño (Un uomo strano), El odio, ecc.
Inoltre siamo in presenza di un’impalcatura da letteratura popolare e canagliesca, ricca però di accorgimenti tecnici e innovazioni tipicamente novecentesche. L’impressione quindi è quella di una mescolanza o fusione o meglio giustapposizione di alto e basso, di romanzo d’appendice e di romanzo di acuta e dolorosa penetrazione psicologica con venature grottesche e dunque umoristiche. Innanzitutto sottolineiamo la tecnica classica della ‘corsa contro il tempo’ (adoperata ancora oggi in molti best-seller). Erdosain, che lavora presso una multinazionale, uno zuccherificio, viene scoperto dai suoi dirigenti e accusato di aver truffato l’azienda intascandosi la cifra di seicento pesos. Ha tempo entro le tre del pomeriggio del giorno successivo per riportarli, altrimenti sarà denunciato alla polizia. L’incipit dunque è in medias res. Ma Erdosain è accolto in un ufficio da tre personaggi dell’azienda in una scena dal sapore kafkiano (in seguito si noteranno altri dettagli simili). L’accorgimento (quasi filmico) della corsa contro il tempo per procurarsi i soldi necessari (l’alternativa è il carcere) riesce a catturare l’attenzione anche del lettore più ingenuo. Ma immediatamente Arlt si cala nel cervello del protagonista, illustrando i suoi tormenti interiori.
Esoterismo e cospirazione politica nei romanzi di Roberto Arlt: un confronto con Curzio Malaparte e Pier Paolo Pasolini.
_____________________________
di Primo De Vecchis
.
Vita e opere di Roberto Arlt
I.5. Dal romanzo al teatro
El amor brujo esce nel 1932 con la promessa di un seguito, El pájaro de fuego (L’uccello di fuoco), che non realizzerà mai: la ricezione infatti dell’ultimo romanzo arltiano è desolante; critica e pubblico (fatte le debite eccezioni) semplicemente lo ignorano o rifiutano la visione pessimistica dell’amore borghese (il matrimonio, la famiglia) che ne emerge. Alcuni critici, come Aníbal Ponce e Lázaro Liadro, la considerano l’opera peggiore di Arlt. Secondo loro il talento narrativo pare affiochirsi, la parabola sarebbe ormai discendente. Il romanzo forse è davvero troppo iconoclasta e inusuale per l’epoca e cade come un sasso nello stagno non risvegliando minimamente l’attenzione del pubblico.
Arlt, che è sensibile alle reazioni del pubblico e del mercato, decide quindi di cambiare rotta; non ha perduto il suo entusiasmo, quella passione che lo risolleva dai plumbei pensieri metallici di aspirante suicida; ha già identificato una nuova valvola di sfogo creativa, un modo per riavvicinarsi al grande pubblico, al ‘popolo’ al quale anela spasmodicamente: il teatro.
Bruno Pischedda, Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco, Bollati Boringhieri, 2011, Torino, pp.338, € 18,50
_________________________
di Francesco Sasso
.
Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco: dalla presa in esame di questo gruppo di scrittori diversissimi sul piano creativo, Bruno Pischedda trae spunto per un possibile percorso di riflessione intorno al problema del “mandato sociale dell’intellettuale”. Di fronte alle rovine morali e civili del nostro Paese, essi hanno preso la parola in pubblico, spesso dialogando tra loro e con i lettori dei maggiori quotidiani. L’interesse culturale che essi suscitano deriva, tra l’altro, dal fatto che la loro riflessione è debitrice delle istanze intellettuali etico-civili sviluppatesi nel periodo post-bellico e che sono maturate nel clima della Resistenza. Come i loro padri intellettuali, quindi, avvertirono forte il bisogno di usare lo strumento letterario come pungolo critico degli aspetti degenerati della società italiana. Inoltre, come fa notare Pischedda, molte altre risultano essere le suggestioni culturali che hanno operato su di loro: dall’antropologia alla linguistica, dalla nouvelle historie di Bloch e Febvre alla psicoanalisi di Lacan, dalla semiologia di Barthes al magistero di Foucault, dalla sociologia di Adorno alle riflessioni sulla cultura di massa agli studi di McLuhan. Risulta, pertanto, inevitabile, secondo l’autore, che fra Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori ed Eco ci sia una eterogeneità di interpretazioni e di analisi degli oggetti di volta in volta interrogati. Lo studio di Pischedda tenta, allora, di rispondere a tre quesiti posti da lui stesso agli scritti polemici dei cinque autori: «cosa esattamente dicono i polemisti trascelti, in che modo lo dicono e a quale titolo».
Una sbirciata alla struttura di Ragazzi di vita
di Francesco Sasso
Ragazzi di vita piombò nel 1955 sulla società italiana come un macigno e infranse lo stagno placido della letteratura. Divenne un caso letterario-giudiziario. Fece scandalo. Pasolini fu denunciato per oscenità. Alcuni critici deviarono dai binari della letteratura, e planarono su territori extraletterari; altri rifiutarono la novità che gli era davanti, accecati dai precetti dell’engangement.
Oggi, passati cinquant’anni, alleggeriti dal pregiudizio ideologico-morale, noi possiamo puntare con maggiore serenità lo sguardo sul “corpo” ancora vivo dell’esperienza di Ragazzi di vita. E qui diremo subito che la principale novità di Pasolini fu di iniettare nelle pagine del romanzo un’insolita dose di dialetto, immergendo quasi fisicamente il lettore nell’universo delle borgate romane.
Se nella sua prima stagione- Poesie di Casarsa- il nostro poeta era tentato dall’estetica della regressione e dell’idillio, qui il realismo diventa estremo, si scende nell’inferno del popolo sottoproletario. Il dialetto diventa lo strumento che penetra e svela la realtà, che rivela un’epopea nascosta. L’immersione si attua però come mimesi: il dialetto più che quello delle borgate, è il gergo figurato della malavita, con il suo codice e le sue espressioni criptiche. Ma la registrazione linguistica è da Pasolini mediata. È lui che dà la parola alle cose.
Ragazzi di vita, scritto nel 1950 e pubblicato su << Paragone>> nel 1951, ha due caratteristiche fondamentali: registrazione realistica, da documento; ed elaborazione linguistica e stilistica, con conseguente confusione di stili: alto e basso si sciolgono in un’unica amalgama. È il pastiche. Da qui nasce l’apparente separazione tra piano della narrazione e quello dei personaggi, tra lingua del narratore e il dialetto dei dialoghi. Tuttavia, è la lingua a adattarsi al dialetto, l’inserimento continuo di tessere dialettali influenza anche la lingua del narratore:
… pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungo-teveri a rimorchiare…
Inoltre, la mescolanza coinvolge pure il livello << alto >> e il livello << basso >> delle immagini: è lo spazio della sperimentazione, di un pastiche trasgressivo. La contaminazione di stile è da ricondursi, anche, all’influenza che il Decadentismo- da una parte- e le nuove poetiche del realismo- dall’altra- produssero sul nostro scrittore.
Dal punto di vista della struttura narrativa, ragazzi di vita non è un romanzo. Esso è un montaggio di una serie di episodi autonomi e in sé conclusi. Una successione di racconti con medesimi personaggi: il trait d’union di tutti gli episodi è Riccetto- personaggio con cui l’autore istaura un dialogo intimo più stretto.
Deviando un poco dal discorso: vorrei far notare come tutti i personaggi adolescenti del romanzo non hanno un nome, ma un nomignolo. Sembrerebbe una sinfonia di protagonisti anonimi.
Il mondo di Ragazzi di vita è il mondo della violenza e della sopravvivenza. Il popolo qui è << un grande selvaggio in seno alla società >>. Tutti i protagonisti hanno in mente una sola cosa: il denaro- simbolo del mondo capitalistico- perché con esso possono soddisfare i loro desideri bassi: mangiare, far sesso, ecc. I protagonisti <<si arrangiano >>: rubano, frequentano << froci >>, si prostituiscono. Con i soldi così guadagnati vivono alla giornata. E qui vorrei mettere in luce un altro aspetto strutturale in quasi tutti i capitoli. La maggior parte delle storie si svolgono di notte. I protagonisti partono alla ricerca di denaro. Lo guadagnano- a loro modo- ma il più delle volte finiscono per perderlo. La loro vita è un cerchio, ogni capitolo è un cerchio, che si chiude per aprirsi uguale la notte dopo.
Finora ho voluto indirizzare la vostra attenzione su alcuni degli aspetti stilistico-tematici più chiassosi. Ma gli elementi da sondare all’interno del “ corpo” di Ragazzi di vita sono maggiori. Per esempio, la presenza in esso di immagini dantesche- v’invito ad andarle a scovare- oppure la degradazione degli uomini a livello di animali e, a sua volta, la umanizzazione degli animali- vedi il famoso dialogo in romanesco tra due cani-, e ancora, la tematica della morte che in Pasolini si fa un tutt’uno con la vita.
Per concludere, Ragazzi di vita è un capolavoro da rileggere, anche perché si avvicina una data importante… ma ne parleremo a suo tempo.
f.s.
Tra cielo e carne
P.P.Pasolini: dalla raccolta di “Poesie a Casarsa” a “L’usignolo della chiesa cattolica”
di Francesco Sasso
Pier Paolo Pasolini esordì nella cultura italiana, scrivendo versi nel dialetto friulano di Casarsa, il paese originario della madre, dove visse la sua infanzia, a contatto con la natura e il mondo contadino. La raccolta, Poesie a Casarsa, pubblicata nel 1942 dalla Libreria antiquaria Mario Landi di Bologna, fu inviata dal libraio stesso al suo amico professore di filologia romanza di Friburgo, un “certo” Gianfranco Contini, il qual professore comunicò a Pasolini che le poesie gli erano piaciute e che ne avrebbe fatto una recensione- tempi straordinari per l’editoria, quando un piccolo libraio riusciva a promuovere un giovane di talento. “Ho saltato e ballato per i portici di Bologna”, dirà a sua volta il poeta.
La recensione, destinata originariamente alla rivista <<Primato>>, che la censurò perché “scandaloso” era l’uso del dialetto, in un paese a regime fascista, che osteggiava l’uso delle “lingue barbare”, fu pubblicata sul <<Corriere di Lugano>> il 24 aprile 1943.
A questo punto, dobbiamo precisare che il casarsese usato nella raccolta pasoliniana non è una lingua reale, un dialetto; ma un idioletto metaforico ed irreale; nel senso che lo scrittore non usa il dialetto parlato dai contadini del luogo, bensì un linguaggio mediato dalla parola scritta del poeta. E’ una costruzione letteraria che risente dell’idea simbolista di ricerca di una lingua vergine, anteriore alla Storia. La poesia in idioletto, consente a Pasolini di poter regredire nell’essere originario, di giungere all’essenza prima, quella prenatale, all’origine della vita, lì dove tutto è assoluto ed infinito; con una “immediata gioia espressiva”- secondo una definizione di Enzo Siciliano (Pasolini, una vita).
Poesie a Casarsa(1941-1943) sarà poi ripubblicato, in seconda stesura, insieme a Suite furlana(1944-1949), a Appendice( 1950-1953), e a Il testament Coran(1947-1952). Ogni componimento accompagnato da una traduzione italiana stesa dello stesso autore: << e quasi, idealmente, contemporaneamente al friulano, pensando che piuttosto che non essere letto fosse preferibile essere letto soltanto in esse>>. Il titolo della seconda raccolta è La meglio gioventù- da un triste canto alpino della prima guerra mondiale.
Questo viaggio nel mondo primordiale della parola, nella vita quotidiana e semplice del mondo rurale, nel loro << attenersi alle regole d’onore della lingua […] senza temere di variarla con personali e azzardate invenzioni>>; questo desiderio di penetrare in un mondo perduto.
Con L’usignolo della chiesa Cattolica (1958) Pasolini abbandona la lingua materna, per approdare a quella italiana. Il nocciolo primo della raccolta va cercata nella scoperta, da parte del poeta, del dissidio individuale e interiore che lo travaglia, un contrasto in un’anima non ancora infettata dalla coscienza, che egli acquisterà negli anni a venire, della falsità e del vuoto insito nella società italiana.
La figura dell’usignolo, topos della tradizione lirica e simbolo dell’amore, è la chiave di lettura dell’intera raccolta. In esso vi scorgiamo la figura del poeta e della contraddizione da egli vissuto fra il desiderio d’infinito dei cieli e la coscienza della finitezza dell’uomo. E’ il dissidio che attanaglia ogni uomo, tra il cielo e la carne.
Nel succedersi delle liriche, scopriamo un Pasolini alla ricerca di se stesso attraverso la preghiera “all’immoto Dio”; o un Pasolini in rivolta e con un forte desiderio di celarsi agli occhi del Padre.
Forte è l’immagine, in una sua lirica, del Cristo morente, in croce, che si mostra nella sua interezza e nella sua verità. In quest’immagine, il poeta vede l’origine della sua lotta coi sensi e col sesso, che egli attraversa dolorosamente. In breve, questo è il periodo della scoperta di se come omosessuale che ama, di uomo colpevole e innocente allo stesso tempo. E’ il periodo dei turbamenti esistenziali, mentre il mondo contadino si staglia sullo sfondo. Il sentimento religioso si scontra con la felicità degli istinti amorosi.
Per concludere potremmo dire che La meglio gioventùè il libro della purezza e della felicità primordiale; L’usignolo della chiesa Cattolica è un libro di dolore e di scoperta del peccato.
f.s