Vitam impendere amori. Renzo Paris, La banda Apollinaire, Matelica (MC), Hacca Edizioni, 2011
______________________________
di Giuseppe Panella*
Guillaume Apollinaire (al secolo Guglielmo Vladimiro Alessandro Apollinaire de Kostrowitzky – come annota con acribia proprio Renzo Paris) è tra i poeti più importanti della tradizione poetica del Novecento. Quello che conta nella sua produzione letteraria, in realtà, non è tanto quello che ha scritto ma il modo in cui l’ha fatto. Con la sua opera l’idea di una separazione possibile tra vita e poesia, tra esistenza e arte, già incrinata in modo radicale dai grandi poeti maudits della fine Ottocento (tra Verlaine e Mallarmè ma soprattutto attraverso Rimbaud) scompare nettamente portando finalmente il concetto di avanguardia letteraria al suo culmine. L’impatto che Apollinaire avrà sulla successiva storia della poesia del Novecento è straordinario e probabilmente non compiutamente analizzato e spesso difficilmente distinguibile da quello di altri autori a lui contemporanei (il caso di Picasso è certamente esemplare al riguardo ma anche autori come Aragon e Breton, poi approdati a posizioni politiche e culturali molto diverse e divaricate, gli debbono molto più di quanto avrebbero ammesso in seguito). Scrivendo delle Lettres à Lou (uno dei testi finali del corpus poetico di Apollinaire redatte tra il 28 settembre 1914 e il 18 gennaio 1916), proprio Paris dichiara con grande autorevolezza che il ruolo dell’artista e dello scrittore è stato profetico: