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quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Panella (2008-2019)
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Video integrale dell’incontro con i giornalisti al termine del conferimento della Laurea Honoris Causa in Comunicazione e Culture dei Media dell’Università degli Studi di Torino
RASSEGNA SU POSTMODERNO E NUOVO REALISMO (2011-2012)
a cura di Francesco Sasso
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Di un Realismo Negativo
di Umberto Eco
Ho letto in vari siti di internet o in articoli di pagine culturali che sarei coinvolto nel lancio di un Nuovo Realismo, e mi chiedo di che si tratti, o almeno che cosa ci sia di nuovo (per quanto mi riguarda) in posizioni che sostengo almeno dagli anni Sessanta e che avevo esposte poi nel saggio Brevi cenni sull’Essere, del 1985.
Diverse voci su un unico Eco. Su Aa. Vv. Umberto Eco. L’uomo che sapeva troppo, a cura di Sandro Montalto, Pisa, ETS, 2007
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di Giuseppe Panella*
Nato per festeggiare Umberto Eco al di là di ogni occasione possibile (sia accademica che personale e persino puramente occasionale), il volume coordinato da Sandro Montalto offre la possibilità di guardare allo scrittore di Alessandria con occhi diversi e più “ingenui” da quelli di chi pratica per mestiere il mondo delle recensioni letterarie o delle ricostruzioni storico-teoriche. Ventitré interventi diffusi sul vastissimo territorio frequentato da Umberto Eco permettono di verificare le sue incursioni nei settori più ampi e più diversi alla luce del comune interesse rivestito dal soggetto della ricostruzione stessa nell’ambito della scrittura come punto di riferimento comune. All’interno del volume si possono trovare testi relativi alla sua opera (i primi sette), due saggi (quelli di Cardini e Isotta semplicemente dedicati a Eco ma non concernenti la sua produzione), altri testi di ricordo o testimonianze o di amicale considerazione per l’uomo e l’opera – sintomatici al riguardo quelli di Giulio Andreotti, di Maurizio Costanzo e di Renzo Paris che in versi ammette di essere dalla parte degli sconfitti, di quelli cioè che l’editoria ha emarginato in nome del “romanzo postmoderno”) e, alla fine, testi “creativi” come riflessioni su Eco studioso di enigmistica, immaginari dialoghi con lui stesso o tra i suoi personaggi e altri ancora di invenzione (Sherlock Holmes e il dottor Watson che si confrontano con Guglielmo di Baskerville e il suo discepolo Adso) e, infine, un anagramma tutto per lui (Truce Boemo ovvero Umberto Eco !).
Umberto Eco, Il cimitero di Praga (Bompiani – 2010)
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di Amedeo Buonanno
“Il solo personaggio inventato di questa storia è il protagonista, Simone Simonini […] tutti gli altri personaggi […] sono realmente esistiti e hanno fatto e detto le cose che fanno e dicono in questo romanzo” (pag. 515). Questo scrive Umberto Eco alla fine del suo ultimo romanzo “Il cimitero di Praga” ed è per questo motivo che partiremo dalla Storia, quella vera, in cui si segue la nascita de “I protocolli dei Savi di Sion” con la successione dei testi che ne hanno ispirato la genesi e ne vedremo l’intreccio con la storia, quella di finzione, che Eco crea usando il protagonista Simonino Simonini.
Il successo travolgente e planetario del Nome della Rosa, nei trent’anni che ci separano dalla sua apparizione, è stato anche un successo accademico. La bibliografia accumulatasi in tutto il mondo sul romanzo è ormai imponente, e ne ha indagato tutti gli aspetti: i rapporti con l’estetica post-moderna, le fonti e i modelli, le implicazioni teoriche e semiologiche, i risvolti attualizzanti. Anche il tema che qui ci interessa, quello della rivisitazione del Medioevo, è stato oggetto di numerosi studi, tanto che ben poco sembrerebbe possibile ancora aggiungere. Per tentare un ulteriore approfondimento, vorrei allora muovere da una questione in apparenza banale e poco pertinente, chiedendomi le ragioni che hanno fatto del Nome della rosa un best-seller mondiale, tradotto in più di quaranta lingue e capace di vendere, nei soli primi vent’anni (1980-2000), oltre sedici milioni di copie. Credo che le spiegazioni normalmente invocate, benché certamente valide, non siano però sufficienti: quelle, dico, che fanno capo al moderno revival del Medioevo, alle grandi doti narrative e affabulatorie dell’autore e alla sua notorietà presso il largo pubblico, al battage pubblicitario, o alla funzione di “traino” svolta dal film che Jean-Jacques Annaud liberamente trasse dal romanzo nel 1986 (e sul quale ritorneremo).
La metafora è il più importante dei tropi, ovvero l’elemento più tipico del linguaggio poetico. Ma la metafora abbonda anche nella lingua quotidiana, tanto che alcune metafore sono divenute consuete. Vi segnalo quindi il saggio La metafora nel Medioevo latino di Umberto Eco pubblicato dalla rivista Doctor Virtualis, No 3 (2004).
Abstract
La metafora nella tradizione retorica medievale. Filosofia, teologia e limiti del discorso metaforico. Metafora, allegoria e simbolismo. Tommaso, Dante e lo pseudo Dionigi
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Eco, U. (2008). 3. La metafora nel Medioevo latino. Doctor Virtualis, 0(3). Recuperato 2009-12-19, da http://riviste.unimi.it/index.php/DoctorVirtualis/article/view/51/79
f.s.
Occorre distinguere il lettore reale (o empirico) dal lettore ideale o lettore modello. Il primo è soggetto storicamente variabile, legge l’opera, “aperto” e potenzialmente indefinito. Il secondo è ipostasi della perfetta comprensione del testo nella complessità del suo messaggio.
Continua a leggere “Il ruolo del lettore. Breve nota bibliografica”
Una parte considerevole dei prodotti dell’industria culturale destinati al consumo dell’immaginario rientra nella paraletteratura, termine col quale si indica un ampio insieme di generi prevalentemente narrativi: dal fumetto ai fotoromanzi, fino ai numerosi sottogeneri di romanzo (giallo, fantascientifico, poliziesco, thriller, horror etc).
Continua a leggere “La paraletteratura. Breve nota bibliografica”
[Settima ed ultima parte del saggio REGOLE PER SOPRAVVIVERE. Modelli di analisi per una storia della fantascienza italiana del prof. Giuseppe Panella, pubblicato sul numero 50 di “Futuro” (casa editrice Elara di Bologna). [QUI] la prima parte. [QUI] la seconda parte. [QUI] la terza parte. [QUI] la quarta parte. [QUI] la quinta parte. [QUI] la sesta parte. f.s. ]
di Giuseppe Panella
f) estrapolando dai Quaderni del carcere
Nell’Introduzione alla nuova edizione del suo Il Superuomo di massa, Umberto Eco non può fare a meno di riconoscere l’importanza avuta dalla lettura dei Quaderni del carcere per l’elaborazione di questo suo libro:
«Questo libro raccoglie una serie di studi scritti in diverse occasioni ed è dominato da una sola idea fissa. Inoltre questa idea non è la mia, ma di Gramsci. Per un libro che si occupa dell’ingegneria narrativa, ovvero del romanzo detto “popolare”, probabilmente questa è una soluzione ideale : esso infatti riflette nella sua struttura le caratteristiche principali del proprio oggetto – se è vero che nei prodotti delle comunicazioni di massa vengono elaborati in “luoghi” già noti all’utente e in forma iterativa. Nozioni, queste, che avevo già sviluppato in vari punti del mio Apocalittici e integrati (Milano, Bompiani, 1964 [39]). L’idea fissa, che giustifica anche il titolo, è la seguente: “mi pare che si possa affermare che molta sedicente “superumanità” nicciana ha solo come origine e modello dottrinale non Zarathustra, ma il Conte di Montecristo di A. Dumas” (A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, III, “Letteratura popolare”)» (40).
Umberto Eco aveva già provato questo modello di approccio (la sociologia del romanzo popolare di massa) nel suo libro precedente sull’argomento, quell’ Apocalittici e integrati (41) cui rimanda ancora nell’Introduzione succitata trasformando così questo suo secondo libro in una costola di quello che mantiene così un carattere più generale e più ampio:
«Non per questo la storia del superuomo di massa è da ritenersi conclusa. Rimangono innumerevoli casi in cui esso riappare. Si veda per esempio nel mio Apocalittici e integrati lo studio sul Superman dei fumetti, studio che a rigore avrebbe dovuto apparire in questa raccolta. E poi sarebbe interessante vedere i nuovi superuomini cinematografici e televisivi, belli brutti e cattivi, ispettori con le Magnum, teste rasate e berretti verdi. E l’apparizione (finalmente) della Überfrau, dalla Wonder Woman dei fumetti già anteguerra alla recentissima Bionic Woman. E i superuomini (o super robots) della fantascienza … Eccetera eccetera eccetera, benemerita schiera di cui già aveva detto una volta per tutte Gramsci : “il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce al tempo stesso) il fantasticare dell’uomo del popolo, è un vero sognare ad occhi aperti … lunghe fantasticherie sull’idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati…” » (42).
“Umberto Eco racconterà come da migliaia di anni si cercano spiegazioni dei misteri dell’universo (o anche delle cose più semplici e meno misteriose) applicando teorie matematiche del tutto fantasiose. ”
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[QUI] è possibile scaricare ed ascoltare la conferenza tenuta da Eco al II Festival della Matematica 2008, diretto da Piergiorgio Odifreddi.
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[QUI] è possibile scaricare le tredici conferenze
La destoricizzazione del messaggio rafforza la centralità del lettore, visto da Barthes non più come <<consumatore>> ma come un <<produttore del testo>>. Al limite, non si può parlare di interpretazione ma di riscrittura, anche perché il testo non è una struttura chiusa di segni ma una sorta di <<galassia di significati>> senza inizio, reversibile, a più entrate.
E’ ben vero che, pur senza la suadente maestria di Barthes, anche il lettore comune è portato a leggere il testo come un’<<opera aperta>>, proiettandola sul proprio schermo, cioè su codici-sistemi estremamente variabili:
La libertà nello scegliere i contesti interpretativi dell’opera, all’interno delle regole sopralinguistiche [= culturali], è piuttosto considerevole. L’opera si lascia proiettare su diversi schemi, e può così fornire risposte a domande postele non soltanto dal medio <<cultore d’intrecci>> [= lettore di romanzi], e non soltanto dallo studioso di letteratura e di lingua, ma dallo psicologo, dallo storico, e magari dal botanico, dal numismatico o dal meteorologo, dal teorico della cucina e della moda. Non perverrò alla conclusione, tuttavia, che i significati ora in questione siano importanti arbitrariamente all’opera: che nell’opera, insomma, essi non ci siano. Posso solo dire che essi, nell’opera, non c’erano, che si sono formati nel materiale segnino fissato dal testo, insieme ai mutamenti storici dei codici correlabili a codesto materiale. (1)
Questo fenomeno comprova <<la capacità del testo artistico di accumulare informazioni>> (2) per effetto delle transcodificazioni di lettura che accompagnano il suo viaggio nel tempo.
E, ancora, che il lettore non è passivo ma collabora alla funzione comunicativa del testo, il quale <<incomincia a esistere solo quando lo si legge>>. <<Ma- aggiunge Segre- teniamo ben conto di due fatti così ovvi da poter essere dimenticati. Primo: il testo comunica perché vi è stato concentrato un contenuto […] Secondo: non esiste soltanto il lettore attuale, il signor Io. Da quando il testo è stato scritto, ascoltatori e lettori si sono succeduti, e la sostanza comunicativa è sopravvissuta alla prepotenza di tante soggettività. Il nostro tesoro di informazioni contiene già le informazioni precedentemente assimilate, e i nostri codici sono la trasformazione dei codici precedenti. Il filologo ha più di altri il sentimento della durata dei testi>> (3)
Dunque, il testo letterario è una struttura chiusa di segni che, per la particolare densità e ambiguità che li caratterizza, mantengono un altissimo potenziale semantico, un dinamismo che il lettore-collaboratore cercherà di attualizzare senza illudersi di esaurire definitivamente. <<Un testo-dice Eco- vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa, anche se di solito desidera essere interpretato con un margine sufficiente di univocità. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare>> (4)
Note
(1) A. Okopien Slawinska, Il sistema dei personaggi nella comunicazione letteraria, in Aa. Vv., La semiotica nei paesi slavi, Milano, Feltrinelli, 1979, p.619
(2) J. M. Lotman, La struttura del testo poetico, Milano, Mursia, 1972, p.33
(3) C. Segre, Semiotica filologica, Torino, Einaudi, 1979, p.19
(4) U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979, p.52
f.s.
Recensione/schizzo #5
Ho appena terminato di leggere A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico di Umberto Eco.
Libro tagliente, vivace, divertente e profondo, messo insieme per la maggior parte con articoli pubblicati su “La Repubblica” e “L’Espresso”, accresciuto da pochi e brevi saggi scritti per conferenze e congressi.
Il nucleo centrale del libro è l’idea che “negli ultimi tempi si erano verificati degli sviluppi tecnologici che rappresentavano dei veri e propri passi all’indietro.”
In A Passo di Gambero ci sono articoli su Berlusconi, la guerra in Iraq, il crocifisso nelle scuole, Dan Brown, Occidente Vs Oriente, Pacs, razzismo, tecnologia; ma anche facezie, citazioni letterarie, studi sociologici e ritratti ironici della società moderna.
Libro di facile lettura, d’impianto prettamente divulgativo, che tenta nel complesso di fornire al lettore gli strumenti critici per leggere la realtà contemporanea.
f.s.
Di seguito l’introduzione "I passi di Gambero" al volume:
Continua a leggere “A passo di gambero. Guerre calde e populismo di Umberto Eco”